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Zato Ichi Monogatari

Pubblicato il 18 settembre 2005 da Fabrizio Croce


Zato Ichi Monogatari

È affascinante rendersi conto di come sia possibile compiere un viaggio a ritroso all’interno dell’immaginario e della cultura pop di un paese che appare così chiuso nei suoi codici narrativi ed estetici come il Giappone: Solo due anni fa veniva presentato proprio a Venezia l’irresistibile e scatenato Zatoichi, rivisitazione in chiave post-moderna e iper-stilizzata di un personaggio classico della mitologia popolare giapponese ad opera di Takeshi Kitano, spudoratamente innamorato di quel nobile e saggio samurai cieco, nel quale infonde una tenera iroinia clownesca da fan con il raffinato gioco autoriale di maschere e identità sovrapposte e disorientanti.Vedendo ora, all’interno della retrospettiva del cinema asiatico, uno dei ventisei film dedicati a questo personaggio tra gli anni sessanta e gli anni ottanta è come ritrovare il seme di quel mondo che Kitano avrebbe fatto esplodere in mille scheggie di colore, suono e mirabolanti coreografie del corpo e della materia. La struttura elementare di questo Zato-Ichi, il cui significato è Ichi il massaggiatore, è data sin dalla prima inquadratura in bianco e nero di questo apparentemente piccolo uomo che, in un piccolo vilaggio del Giappone del diciannovesimo secolo, cerca di attraversare senza cadere il tronco di un albero per superare un fiumiciattolo, a dispetto della sua cecità che lo rende goffo e lo costringe ad appoggiarsi ad un bastone: Il rigore, la semplicità, la linearità dello sguardo di Misumi Kenji danno un’impronta di forte classicismo che definisce e contiene nell’immagine tutti i segni e le informazioni necessarie perché lo spettatore sappia orientarsi nello spazio e nel tempo dell’azione, acquisendo al tempo stesso ad un livello puramente visivo gli elementi che sarrano caratterizzanti ai fini dell’evoluzione del personaggio e della vicenda (il bastone che nasconde una lama micidiale, il suo mostrarsi impacciato per nascondere le capacità da provetto spadaccino).Insomma le dilatazioni, le digressioni, le aperture e i colpi d’ala dello Zatoichi di Kitano non hanno ancora trovato ramificazione all’interno di un’iconografia che tende ad essere ripiegata su stessa, a viaggiare con il pilota automatico sul circuto chiuso di un’emozione che impedisce ancora la riflessione sul cosa si sta raccontando e sul come lo si sta raccontando.Chi guarda si abbandona alla stessa concezione fatalista che possiede Ichi nella vita, che si ritrova combattutto tra una guerra tra i clan rivali del villaggio dov’è capitato, e che seguirà il suo destino con la stessa fermezza ed incisività di un colpo di spada.Non c’è filtro,non c’è intepretazione, non c’è nessun salto e nessuna combustione con una realtà alternativa a ciò di cui si sta parlando.Se vedere Kitano che riprende se stesso che interpreta Zatoichi significa far saltare le coordinate che consentono di avere costamente presente il dove e il quando sta accadendo ciò che vediamo, lasciando sbandare la percezione tra i passaggi segreti dell’immagine celata e poi rivelata nel suo potenziale fantasmagorico, Kenji non lavora per sottrazione o accumulazione, ma per una giusta misura della rappresentazione dove l’occhio e la mente, il cuore e l’intelletto procedono su un piano comune di ricezione e accoglienza della narrazione visiva, senza l’affollarsi degli interrogatvi del sogno e dell’immaginazione(Zato-Ichi è realmente cieco o sceglie di esserlo? Ciò che lo circonda è reale o è la sua riproduzione del mondo esterno dove tutto è esasperato?), ma con i punti esclamatvi della compiutezza e della cocretezza dell’inquadratura.Takeshi-Zatoichi ci traghetta verso un territorio altro, un’isola sconosciuta di contaminazione tra le pratiche della modernità e i rituali dell’antichità. Lo Zatoichi seriale per conto suo è costantemente presente nel suo ruolo, consapevole di muoversi nel solco di una tradizione che non accetta ancora il tradimento della forma e del contenuto per rimanere fedele allo spirito.E in fondo proprio questo voleva il pubblico del mito.

[Settembre 2005]

Regia: Misumi Kenji; Sceneggiatura: Minoru Inuzuka, Kan Shimozawa; Fotografia: Chisi Makiura; Interpreti: Shintaru Katsu, Masayo Banri, Ryuzo Shimada, Hajime Mitamura, Shigeru Amagi; Produzione: Ikuo Kubodera; Origine: Giappone 1962


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