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(500) giorni insieme

Pubblicato il 27 novembre 2009 da Marco Di Cesare


(500) giorni insieme

Quella di trovarsi nei pressi del capolavoro è una prima sensazione che proviene dal profondo, ma che rimane incastonata nella mente come un pensiero indelebile, ricordo dell’aver assistito a un’idea che si fa cinema e a un cinema che diviene idea, emblemi di una capacità di osservazione e di restituzione della materia circostante (più o meno sovrasensibile) che viene filtrata attraverso uno sguardo unico e personale.
Un occhio fresco e nuovo come quello di un regista esordiente e di una altrettanto giovane coppia di sceneggiatori, uomini che hanno colorato lo schermo e il mondo trasognante che su di esso si distende, ricoprendoli di toni di volta in volta dolci e quieti, nervosi e passionali, ironici, disincantati e tristi: tutti i colori del cinema e della luce che da questo a volte sa sprigionarsi, simboli di un Amore che sopravvive nell’unico modo che gli è possibile, ovvero senza mai essere uguale a se stesso. Laddove uno sguardo eccentrico scopre una Los Angeles che non è la solita L.A. che appare sugli schermi (grandi o piccoli che siano) ma, piuttosto, una città tranquilla, a misura d’uomo e raramente alienante, qui centro di un gioco anche intellettuale e set per la storia che in cinquecento giorni unirà i destini di Tom (Joseph Gordon-Levitt) e Sole (Zooey Deschanel): (500) Days of Summer, i cinquecento giorni di Summer (il nome di Sole nella versione originale), una giovane donna che non è alla ricerca del grande amore – una ’ragazza moderna’, pertanto – mentre Tom, invece, sentirà di essere stato attraversato dal colpo di fulmine.

Nelle intenzioni degli sceneggiatori Scott Neustadter e Michael H. Weber si sarebbe trattato di «Una via di mezzo tra la commedia romantica e Memento». Un percorso a ritroso, magari come quello del Joel Barish del meraviglioso e toccante Eternal Sunshine of the Spotless Mind della coppia Kaufman-Gondry: un uomo che rivive nel labirinto della propria mente, luogo privilegiato per i sogni nei quali nascondersi per tentare una fuga che possa incidere sulla realtà. La sopravvivenza, quindi, grazie alla spirale dei ricordi, quelli che in (500) Days of Summer si appoggiano al punto di vista centrale di Tom che ci mostra quei cinquecento giorni, compreso quello in cui Summer lo ha lasciato. Ma la mente del ragazzo, come capita nei ricordi di ognuno di noi, procede per salti, avanti e indietro nel tempo, come se volesse trovare un senso a quanto accaduto, un segno premonitore della propria rovina, un motivo e un significato alla sua stessa esistenza e alla parola ’amore’. Carattere inusuale nelle commedie romantiche questa centralità della visione maschile di un uomo decentrato che ama e soffre. Tanto che, in uno dei frammenti iniziali della pellicola, Summer dirà che la loro storia è stata come quella tra Sid e Nancy, solo che rivelerà (senza ipocrisie e, perciò, senza sensi di colpa) che è stata lei il Sid Vicious carnefice di una Tom-Nancy Spungen. Un amour fou che viene ripreso attraverso una battuta sagace che coglie alla sprovvista, non meno di altre che illuminano il cammino del film.

È un fluire ben strutturato quello congegnato da Marc Webb, fino ad ora regista di spot e videoclip, capace di riempire il più grande degli schermi con sensazioni che disegna sempre con tratto agrodolce e lieve. Un viaggio nella mente e nel cuore, mentre Tom disegna il mondo intorno a sé. Perché lui è un laureato in architettura che lavora in uno studio dove si scrivono le frasi che andranno sui bigliettini per gli auguri o altre ricorrenze, frasi fatte a uso e consumo di persone che non sanno o non vogliono esprimere i loro pensieri attraverso parole proprie, come capita anche a tanti innamorati. Un lavoro che simboleggia la sua sconfitta di fronte alla possibilità di un futuro diverso. In ufficio farà la conoscenza della nuova segretaria del suo capo, Summer, che diverrà la sua Estate e il suo Sole. Forse, nelle intenzioni di Tom, la sua controparte ideale, l’altra metà di una coppia che potrebbe essere racchiusa in uno dei quadretti di Raymond Peynet, i cui fidanzatini da sempre appartengono a un passato ormai senza tempo. Peynet, il disegnatore che cominciò come grafico pubblicitario, una di quelle professioni che vendono agli altri un mondo che magari non esiste, un lavoro non dissimile da chi inventa frasi per i bigliettini. Un architetto, al contrario, mostra agli altri come il mondo sarà.

Dunque forte è il contrasto tra l’Ideale e la Realtà, tra il vecchio e il nuovo, col passato che ritorna in quanto cultura di provenienza, condizionando il presente e il suo immaginario: perché Tom in fondo è prigioniero di una memoria realizzata da altri, fin dall’infanzia formatasi su Il laureato e la triste musica pop inglese degli anni Ottanta, come viene ironicamente sottolineato dal commento che ci introduce alle vicende. E la preponderanza della Memoria si fa sentire anche nell’istanza narrante attraverso il richiamo alla Nouvelle Vague, tramite le citazioni di Guerre stellari così come grazie alle intelligenti rivisitazioni di due inquadrature riprese dal Bergman de Il settimo sigillo e di Persona, creando in tale modo un raddoppiamento dello spazio e del tempo cinematografici. E la memoria coinvolge anche il ricorso a numerosi brani pop-rock, un mare di canzoni e di particolari che a quel mondo musicale riconducono, convergendo così insieme per comporre una colonna sonora che diviene assai presente ma mai pressante, distinguendosi da tanto cinema contemporaneo che non sa lavorare di fino.
Per cui tutto risulta essere funzionale in questa pellicola assai lieve e solida, dove fanno bella mostra di sé i due splendidi giovani interpreti. Finemente cesellata ed equilibrata in ogni sua parte, sa restituire il contrasto tra la realtà e le immagini, quelle esteriori come quelle interiori. E sintomatico risulterà essere l’uso dello split screen, utile sia per avvicinare che per allontanare gli elementi presenti nell’inquadratura: in (500) Days of Summer renderà visibile, a esempio, il rafforzamento della comunicazione tra due persone, ma realizzerà anche, in un altro momento, uno scarto tra le due frazioni presenti in scena, acuendo la divaricazione tra le aspettative individuali e la realtà. E forse sarà questo il punto di non ritorno nella comprensione di dover compiere il proprio ingresso nell’età adulta, indirizzandosi verso la capacità di cogliere il senso dentro di sé, in un’opera che traccia principalmente il percorso di una crisi e di una crescita lungo un film dal quale difficilmente la propria memoria potrà distaccarsi.


CAST & CREDITS

(500) Days of Summer; Regia: Marc Webb; sceneggiatura: Scott Neustadter e Michael H. Weber; fotografia: Eric Steelberg; montaggio: Alan Edward Bell; musica: Mychael Danna e Rob Simonsen; interpreti: Joseph Gordon-Levitt (Tom Hansen), Zooey Deschanel (Sole Finn), Geoffrey Arend (McKenzie), Chloe Moretz (Rachel Hansen), Matthew Gray Gubler (Paul), Clark Gregg (Vance); produzione: Watermark; distribuzione: 20th Century Fox Italia; origine: USA, 2009; durata: 96’; web info: sito ufficiale.


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