All The Invisibile Children
Da un’idea della produttrice italiana Chiara Tilesi nasce "All the invisible children". Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso e John Woo raccontano sette storie di abbandono, di infanzie difficili o negate del tutto. A parte qualche felice eccezione, però, gli episodi sembrano puntare troppo su di un patetismo che alla fine finisce per stridere con il progetto finale. Al di là della commozione, infatti, sarebbe più utile una riflessione critica che in molti casi sembra rimanere schiacciata da un’emotività portata allo stremo. Notevoli, al contrario, gli episodi diretti da Spike Lee ed Emir Kusturica. Il primo racconta la difficile scoperta da parte di un’adolescente della propria sieropositività nonché di quella dei propri genitori tossicodipendenti. In una New York dura e poco incline alla solidarietà, il regista racconta la sua storia con lo stile che da sempre lo contraddistingue. Poche lacrime ma molto da riflettere. Ogni inquadratura ed ogni sviluppo narrativo conduce a qualcosa di ostico, di spigoloso, di inaccettabile. Mette in luce l’emarginazione e il senso di morte che una malattia come l’AIDS trasmette, e che spesso conduce chi ne è affetto ad una morte sociale ancora prima che materiale. Kusturica, al contrario, si serve della sua musica e del suo mondo immaginifico, fatto di colori e di eventi surreali, per raccontare la storia di un piccolo gitano. Anche qui c’è poco spazio per la retorica. Uros, il protagonista, è un bambino che prende ben presto coscienza di come la sua volontà di condurre un’esistenza onesta sia resa impossibile da una realtà familiare e urbana che sembra quasi averlo condannato alla criminalità. Il suo rifugiarsi nella casa di detenzione è un voler tracciare una linea di confine con il resto del mondo. Nel suo sorriso è presente tutta la denuncia e la drammaticità della storia. Apprezzabile anche l’episodio diretto da Katia Lund. La regista ci mostra una San Paolo caotica dove due bambini trovano nella reciproca unione l’unico strumento di lotta contro una metropoli che oppone il cinismo alla povertà. Unione che risalta ancora di più se messa a confronto con la noncuranza del resto della città. Tra macchine cieche che sfrecciano veloci, il carretto dei due giovani protagonisti è, infatti, una rivendicazione di esistenza in una città ultramoderna che sembra essersi del tutto dimenticata di chi è costretto a raccogliere spazzatura, lattine, cartoni per poter sopravvivere. Da citare anche il lavoro di Stefano Veneruso. Bello il contrasto tra il legittimo desiderio di giocare del protagonista e l’ineluttabilità, racchiusa in uno scippo, di una crescita sbagliata e troppo rapida a cui una città come Napoli può costringere. Dei restanti episodi, come detto, non rimane molto. È soprattutto John Woo a deludere abbandonandosi ad una storia strappalacrime, ricca di elementi patetici, ma priva della durezza espressiva necessaria per trattare l’improbabile parallelismo tra le vite di due bambine di opposta estrazione sociale.
Cast & Credits
Regia: Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso, John Woo; Produzione: Maria Grazia Cucinotta, Chiara Tilesi, Stefano Veneruso per MK Film Production e Rai Cinema; Distribuzione internazionale: Adriana Chiesa Enterprises; Distribuzione Italiana: 01 Distribuzione;