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Americana - The Big C

Pubblicato il 23 luglio 2011 da Viviana Eramo


Americana - The Big C

Dopo aver provato più di qualche brivido di terrore di fronte le folli avventure di Dexter, dopo aver seguito la ricca e variegata vita sessuale del protagonista di Californication e dopo aver spiato la condotta di un’infermiera sui generis in Nursie Jackie, a veder The Big C (quasi) si fa fatica a credere che sia un prodotto targato Showtime. A sperare, infatti, di trovare il gusto del politically incorrect a cui il canale ci ha abituati, si rimane abbastanza delusi. Certo, la nostra protagonista, un’ottima Laura Linney, non perde occasione di mostrarsi quantomeno bizzarra nell’affrontare la propri vita quotidiana, ma la serie, una delle più attese della stagione, da subito si colora delle sfumature di mezzo tipiche del dramedy.

La grande C del titolo è il cancro che viene diagnosticato a Cathy, insegnante poco originale e moglie e madre nella norma. Come succedeva in Breaking Bad, la reazione della protagonista non va esattamente nella direzione dello scoramento; viceversa la malattia diventa il principio di una rivoluzione personale, affettiva e comportamentale. The Big C, così, mette al centro il tema della vita a contatto con (il sospetto de) la morte, sviluppando palesemente l’idea che quest’ultima possa essere la spinta inequivocabile verso la voglia di vivere. La serie, allora, semplicemente mettendo a rischio la salute e l’incolumità della sua protagonista, la accompagna in una rinascita, risveglia i suoi desideri sopiti, le fa abbandonare il rispetto per norme convenzionali, per farla trasgredire continuamente. L’antidoto al terrore della morte è la passione per la vita.

Attraverso la forma del dramedy The Big C affronta lo spauracchio dell’ultimo ventennio dosando leggerezza e seriosità, ironia e tristezza, follia e normalità. Ci riesce disegnando personaggi - interpretati da un cast eccezionale - tanto quotidiani quanto sui generis, circondando la protagonista di caratteri mai compiuti, in parte inetti, ma sempre capaci di grande sensibilità. Il marito infantile, il figlio adolescente, la migliore amica ritrovata, il medico infatuato, il fratello barbone per scelta, l’anziana amica malata costituiscono un caleidoscopio efficace su un’umanità disgregata, insicura e un po’ apatica. Il “privilegio” di Cathy sta allora nell’intraprendere un percorso di rinnovamento all’insegna del sentimento tanto quanto del sarcasmo.

Il vero, e in realtà unico, pregio della serie è la sapiente abilità con cui le due anime del dramedy convivono, si rimpallano, dialogano tra loro in un equilibrio ben riuscito che evita macabre derive quanto leziosi risvolti. The Big C segue quello che si potrebbe definire il percorso di formazione di Cathy, alla cui follia ribelle dei primi momenti seguiranno i conti con la realtà. Anche in questo senso la serie insegue un equilibrio evidente che contrappone all’euforia estiva della prima stagione, l’autunno della riflessione della seconda, in una sorta di disegno delle stagioni della vita verso la morte.

The Big C, così, si dimostra capace di evitare grossolani scivoloni parlando di una malattia che, soprattutto in Occidente, si fa ancora fatica a nominare a voce alta, ma dà prova, altrettanto evidentemente, di preferire la convenzionalità al rischio. A guardar bene, l’ultimo nato in caso Showtime è un family drama dall’impianto piuttosto tradizionale, il cui sarcasmo e la cui ironia sono i soli guizzi che sembra potersi permettere. Forse, per assurdo, il problema risiede proprio nella grande C che la serie vorrebbe esorcizzare e che, viceversa, continua ad essere concepita come argomento difficile su cui ridere, anche laddove si sta provando a fare il contrario. Rimane il dubbio, dunque, che l’incapacità di osare veramente superando lo spettro della malattia che terrorizza il mondo intero, abbia tolto a questa serie la possibilità di essere brillante fino in fondo.


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