Ana y los otros
Film che sfiora continuamente il vuoto narrativo puro e semplice Anas y los otros colpisce per la sua volontà di portare avanti un pedinamento di stampo quasi zavattiniano incrociando, però, la poetica populista di certo neorealismo con un sguardo più vicino alle commedie francesi di un regista come Rohmer. Non esiste virtualmente una storia, ma solo una serie di scene di vita quotidiana che solo molto lentamente cominciano ad assumere un senso propriamente narrativo. Protagonista è una giovane ragazza argentina che si sposta in città senza una meta apparente. La macchina da presa la insegue mentre passeggia a lungo per le strade, si ferma con lei a prendere il sole, registra le sue veloci conversazioni dense di convenevoli con le persone che incontra casualmente (dapprima una vecchia compagna di scuola, poi una ragazza che le chiede di leggere un giornale, infine un vecchio amico che ella evidentemente non vede da molto tempo). L’approccio della messa in scena, lo si vede subito, è di carattere marcatamente fenomenologico, come nelle pellicole del maestro francese su citato, la fotografia è spoglia e realistica, con una luce cruda che smangia i colori restituendoci un’atmosfera assai concreta e sporca. Sembra quasi non esserci traccia di una sceneggiatura e si ha costantemente l’impressione che gli attori siano stati chiamati ad improvvisare i dialoghi sulla base di molto parche indicazioni di regia. Poi, molto gradualmente, cominciamo a capire che la ragazza è tornata in città per incontrare un suo vecchio amore con cui pare abbia perso ogni contatto e, allo stesso modo, veniamo a scoprire che il ragazzo, salutato quasi all’inizio della pellicola, oltre ad essere un caro amico della sua vecchia fiamma (e, quindi, utile pedina per trovare il suo attuale indirizzo) è anche un suo vecchio corteggiatore che, vistala sola, comincia a rinnovare le sue dichiarazioni d’amore. Lunghe ricerche, passeggiate tra le strade polverose di un’Argentina post rurale la cui politica, dopo la dittatura, sembra essere diventata del tutto incomprensibile e quasi estranea alla vita quotidiana delle persone normali (significativa una sequenza in cui la ragazza non riesce a spiegare ad un ragazzino le manovre della banca statale che sfuggono alla sua stessa comprensione), dialoghi discreti sul senso dell’amore (e, sul fatto che ad amare di più sono sempre le donne), Ana y los otros è una classica storia d’amour fou in cui l’ossessione non viene mai detta attraverso il filtro del melodramma ed è, piuttosto, suggerita tra le inquadrature di un quasi documentario sulla vita di una ragazza molto qualunque (eccellente la giovane protagonista). Mancano le sequenze catartiche, manca il motore primo del dramma, e, sorprendentemente (ma non poi troppo, in fondo), il viaggio finisce proprio nel momento in cui lo spettatore comincia a capire il motivo della partenza. Il risultato è un’opera che può apparire noiosa perché dà costantemente l’impressione che il racconto vero sia tutto nel prima e nel dopo dell’inquadratura (e, quindi, fuori campo), ma che, pur nel rigore della messa in scena, non dà quasi mai l’impressione di accendersi di vera poesia. Su tutto si stacca, comunque, il gustoso episodio delle lezioni di corteggiamento che la ragazza impartisce ad un bambino conosciuto per caso.
(Anas y los otros); Regia: Celina Murga
[settembre 2003]