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I corti

Pubblicato il 19 settembre 2003 da Alessandro Izzi


I corti

Il panorama offerto dalla vetrina dedicata ai cortometraggi di questa sessantesima edizione del Festival di Venezia è stato quanto mai vario e diversificato. Difficile, quindi, riuscire a rendere conto, sia pur brevemente, di tutte le differenze (tante) che intercorrono tra le singole opere presentate e tra le singole poetiche che hanno trovato un loro spazio di espressione, quasi del tutto impossibile, poi, tentare di trovare tra i vari tasselli che compongono questa vetrina sempre stimolante e nuova, un filo rosso, un elemento conduttore. Su un versante più classico si colloca Agnes Varda con la debolezza leggera del brevissimo corto Fuori concorso Le lion volatil (una passeggiata intorno ad uno dei monumenti fondamentali di Parigi presto magicamente sostituito da un enorme gattone pacioso) che cela dietro un tono solo superficialmente scanzonato una storiella d’amore un po’ risaputa e piuttosto prevedibile. Non meno classicheggiante è il risibile italiano Ore 2: Calma piatta che, avvalendosi nella produzione dei fondi destinati alle opere di particolare interesse culturale (?), dimostra la sostanziale miopia del nostro governo nei confronti della Cultura e dello Spettacolo. La debole vicenda narrata è quella di un provetto nuotatore che vive nel timore ancestrale che le acque delle pisicine siano infestate da sinistri pescecani che non attendono che la sua carne per afflilarsi le quintuple file di zanne assassine. La regia del figlio d’arte Marco Pontecorvo è sciatta e piatta come non mai e si rimpiange che se in colonna sonora scorrano alcune note immortali di Bach (Passione secondo Matteo) e che il personaggio principale sia interpretato con poca verve da John Turturro (ecco dove erano finiti i soldi della produzione!). Leggerermente più sperimentale il titolo spagnolo El excusado che esaurisce nel titolo (letteralmente: cesso) tutta la sua possibile carica destabilizzante e scandalosa. Meglio riuscito l’italiano Zippo con il suo bianco e nero espressionista e la storia quasi kafkiana di un uomo con tasche chiuse da cerniere per tutto il corpo entro cui andrà ad annidarsi un topolino. Più riusicito il delicato corto neozelandese From where I’m standing che, pur mantendonsi nel solco di una narrazione palesemente classicheggiante (un piccolo diverbio tra due sposini novelli perché il maritino non ha avuto il coraggio di salvare dall’affilata accetta del vicino una famigliola di oche), riesce però a crearsi un suo spazio d’espressione. Bechè ancorato ad un realismo dichiarato (con alcune notazioni spiccatamente minimali come ad esempio la scena del lavaggio dei panni a piedi nudi nella vasca da bagno), il piccolo corto di Annalise Patterson si pone come una non banale riflessione sulla nostra capacità di amare malgrado i difetti insospettati della pesona amata. E alcuni elementi inaspettatamente fantastici (la famiglia umana propietaria dei volatili è un vero e proprio calco iconico della famiglia di oche) come pure l’uso accattivante della musica di Corelli fanno di questo corto una sorpresa piacevole. La sperimentazione nel campo del digitale trova i suoi campioni in una serie di corti più o meno riusciti. Assolutamente geniale (non a caso insignito di una menzione speciale) è l’eccellente Hochbetreib una slapstick comedy sbarazzina e indiavolata con attori in carne ed ossa (sorprendenti) che si rincorrono su scenari palesemente ricostruiti al computer (sfruttato in maniera originalissima l’archetipo del cantiere di un palazzo in costruzione). Più deboli Ritterschlag di Sven Martin (storia, con finale simil barzelletta di due draghi che tengono custodita una strillante principessa dall’assalto di cavalieri erranti) e l’escheriano Match di Jef Nassenstein con strani volatili che passeggiano saltellando in paesaggi molto pittorici.Più affini al solco della tradizione del cartone animato (pur se coadiuvato da massicce dosi di computer grafica) sono l’irrisolto Destino che riprende le fila di una collaborazione interrotta tra il pittore Dalì e Walt Disney e lo spiazzante, bellissimo The trumouse show (Miglior cortometraggio europeo) che recupera la vicenda del capolavoro di Peter Weir riadattandola alle vicende di un topo da laboratorio nella sua ruota da passeggio. Con finale acido di corrosivo sarcasmo del topo che decide di restare nel finto mondo costruito per lui dal Grande Fratello. Forte la sperimentazione linguistica in due video che si rivelano, per lo più, di maniera. Il primo è il più interessante Neon eyes che racconta la vita di un personaggio che, di fronte alle cose ordinarie di una vita normalissima ricorda (o sogna) le sue gesta di efferato serial killer. Alcune soluzioni di montaggio alternato si rivelano bizzarramente riuscite di fronte ad una serie di deformazioni dell’immagine, per contro, assai insipide. Il secondo è invece il più complesso Solitaire, storia di una donna e del suo doppio diabolico che si rincorrono in una casa deserta, si filmano e popolano i rispettivi incubi. Resta, infine, oltre al brevissimo God’ kitchen (brevissimo e un po’ manierato esercizio di stile), il notevole Naft (trionfatore della sezione) che sulla base del montaggio di materiale di repertorio, ricostruisce la bramosia per il petrolio che è il solo vero male di questo secolo buio. Meno avanguardistico ed innovativo di altri titoli, ma sicuramente animato da autentica passione.

Le lion volatil; Regia: Agnes Varda

Zippo; Regia: Stefano Sollima

Ritterschlag; Regia: Sven Martin

God’s kitchen; Regia: Paki Smith

Neft (The oil); Regia: Murad Ibragimbekov

Neon eyes; Regia: Thomas Gerhold, Markus Wambsganss

Solitaire; Regia: Thor Bekkavik

El excusado; Regia: Lorenza Manrique

From where I’m standing; Regia: Annalise Patterson

Match; Regia: Jef Nassenstein

The trumouse show; Regia: Julio Robledo

Ore 2: calma piatta; Regia: Marco Pontecorvo

Hochbetrieb; Regia: Andreas Krein

Destino; Regia: Dominique Monfery

[settembre 2003]


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