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Immagini - Imagining Argentina

Pubblicato il 19 settembre 2003 da Alessandro Izzi


Immagini - Imagining Argentina

Lo stavamo aspettando con ansia e alla fine, puntuale come una cambiale, necessario come l’aria che respiriamo, è arrivato: il film più brutto di questa sessantesima edizione del Festival di Venezia! Imagining Argentina parte, sulla carta, con le migliori intenzioni. Animato da una certa dose di passione civile ed etica (che immaginiamo sincera anche se la cosa richiede non poco sforzo), il film vorrebbe porre l’accento sulla recente storia del popolo argentino, fiaccato per anni da una dittatura orribile che si è macchiata del sangue di migliaia di persone. Una Storia, quella che fa da sfondo alle vicende narrate nel film, di cui possiamo dire di conoscere già quasi tutto anche se non stentiamo a credere che la maggior parte delle abiezioni commesse in quegli anni sia ben lungi dall’essere stata rivelata fino in fondo. Sappiamo bene e ricordiamo come il governo avesse deciso per la soppressione di tutti i possibili oppositori (politici e non) rivelando, in questa sua aspirazione assolutista, di aver bene appreso le regole che sostanziavano il suo antenato più diretto: il nazismo tedesco. Ricordiamo sempre, con occhi lucidi di pianto, come sia potuto avvenire che le persone giudicate scomode venissero prelevate dalle loro abitazioni, spesso sotto gli occhi di tutti e alla luce del giorno, per essere condotte in prigioni nascoste e in segrete camere di tortura. Sappiamo degli aerei dell’aviazione militare e degli elicotteri che si levavano in volo nottetempo, con il loro carico di vite da gettare in mare verso una morte sicura. Abbiamo visto le foto degli strumenti di tortura e, pur non sapendolo davvero, possiamo immaginare l’inanità di cui quegli oggetti si sono resi complici. In fin dei conti, per capire come questa storia atroce sia riuscita a scriversi con lettere di fuoco nella nostra memoria collettiva, basta pensare a come il termine “desaparecido sia una delle poche parole spagnole che sono riuscite, nel corso della nostra storia recente ad imporsi nel nostro vocabolario comune (un po’ come avvenne per l’ebraico Shoah). Il problema del film, comunque non risiede tanto nel suo raccontare una storia tristemente già nota ("ripetere giova" amavano ripetere, giustamente, i nostri padri latini) quanto piuttosto è da ricercarsi nel modo assolutamente trash e privo di reale empatia di raccontarlo. Come sceneggiatore Hampton sceglie non la strada del realismo crudo e necessario, ma quella del racconto a tinte fantastiche (la qual cosa non sarebbe in sè un male se ci fosse un regista dietro la macchina da presa), e decide di consegnarci un racconto quanto più possibile simbolico. Mescolando il mito di Orfeo (l’uomo che scende fin negli inferi per strappare alla morte l’amata sposa) con quello di Cassandra (la donna che prevedeva sciagure, ma non veniva creduta), il film racconta la storia di una coppia argentina come ce ne dovevano essere tante: lui autore di teatro e direttore di una compagnia amatoriale, con il dono di "sentire" le sciagure degli altri, lei giornalista in aperta opposizione con il regime che viene presto prelevata dalla sua casa e costretta ad un lungo calavrio infernale. Attraverso le visioni dell’uomo e le sofferenze della donna (presto riuniti in un consolatorio finale), il regista vorrebbe comporre un significativo affresco della tragedia del popolo argentino, ma manca il bersaglio continuamente con una serie di sequenze assolutamente improbabili e del tutto incapaci di farci anche solo percepire l’orrore dei tempi. Se qualche brivido di commozione, ci attraversa la schiena durante la visione del film, questo non dipende affatto da quanto vediamo scorrere oziosamente sullo schermo, ma, piuttosto, deriva da un qualche ricordo dell’orrore che un’associazione mentale inaspettata ha fatto scattare. Ma il regista manca anche il bersaglio della vera tragedia cassandriana che è quella di un dono spaventoso da vivere in tempi atroci. Fino alla fine del film Hampton non spende una parola, un’immagine per farci percepire cosa debba essere poter vedere l’orrore e non poter far nulla per fermarlo. Alcune sequenze sono assolutamente improponibili (atroce, per esempio, la scena in cui Banderas, guidato dalle sue visioni, insegue un gruppo di fenicotteri verso una casa abitata da ebrei scampati all’olocausto) altre involontariamente ridicole (Banderas che piange per la moglie e la figlia, strimpellando una chitarra quasi fosse ancora nel film di Rodriguez Once upon a time in Mexico). In generale, nella commistione tra fantastico e reale, il primo si rivela abbondantemente statico e sempre alle soglie dello stereotipo , mentre il secondo appare privo di reale forza visionaria. Un film sui desaparecido dovrebbe colpirci allo stomaco e lasciarci nell’ansia, Imagining Argentina riesce solo a ricordarci come il cinema possa essere ben poca cosa per avvicinarsi all’orrore della storia. Imperdonabile la scelta di girare il film in inglese invece che in spagnolo (arrivando a tradurre anche il termine desaparecido in disappeared). L’aspirazione al grando pubblico non dovrebbe farci dimenticare che per arrivare a provare un pizzico di reale empatia verso qualcuno dobbiamo, se non altro, cominciare a sforzarci di parlare la sua lingua.

(Imagining Argentina); Regia: Christopher Hampton; sceneggiatura: Christopher Hampton; fotografia: Gulliermo Navarro, Diane Sillac Isaacs; montaggio: George Akers; musica: George Fenton; interpreti: Antonio Banderas, Emma Thompson, Claire Bloom, Ruben Blades; produzione: Michale Peyser, Santiago Pozo, Geoffry C. Lands; distribuzione: CDI

[settembre 2003]


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