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Floating landscape

Pubblicato il 19 settembre 2003 da Alessandro Izzi


Floating landscape

Floating landscape racconta la storia di una giovane ragazza e del suo diffcile rapporto con il proprio passato doloroso. Storia di un’ossessione amorosa come ce ne sono state tante quest’anno al festival di Venezia, il film ha, però, l’imperdonabile difetto di impaginarsi, sia a livello visuale che a livello narrativo, come un ignobile romanzetto rosa d’appendice con finale edificante. La storia è quella di una ragazza triste, Maan, che torna sui luoghi dell’infanzia del suo amore morto recentemente di cancro, in cerca di un paesaggio che aveva ossessionato la mente del fidanzato durante la sua lunga agonia. Durante le sue peregrinazioni, la protagonista incontra Lei, un postino giovane con il sogno di diventare un disegnatore per ragazzi, e comincia conflittualmente ad innamorarsene. Persa tra la volontà di rispettare la memoria del proprio ragazzo (di cui ricopia giorno dopo giorno il diario personale quasi volesse ricalcarne la vita) e il bisgono di guardare avanti, Maan non riesce a scendere a patti con la realtà della morte del suo precedente amore e, lungi dal cercare una fattiva elaborazione del proprio lutto personale continua ad ancorarsi al proprio passato con l’energia della disperazione. Per questo motivo, parallelamente alle sue peregrinazioni quotidiane, quasi a rendere a livello grafico la conflittualità del suo rapporto con il mondo circostante, la regista fa scorrere anche tutta una serie di flash-back resi con l’utilizzo di un pessimo flou che dona a queste brevi sequenze il sapore di una fotografia sopraesposta contrapposta al buio degli episodi reali. Una certa vocazione pittorica è dichiarata fin dall’inizio, dall’interessante sequenza titoli e si ha l’impressione che, almeno nelle intenzioni, l’idea era quella di concepire una pellicola dal gusto profondamente visuale che ponesse l’accento sul paesaggio trasformandolo in una sorta di correlativo oggettivo delle passioni dell’anima. Il fatto, però, che la regista abbia indugiato molto più sui primi piani dei suoi pur bravi protagonisti che sui paesaggi e gli scenari del suo apologo, impoverisce questa possibile componente del racconto che avrebbe voluto nel campo lungo e nelle carrellate laterali sul mondo il possibile terzo lato di un triangolo amoroso, tradendo quello che sia il titolo che la sequenza d’apertura avevano promesso a chiare lettere. Abbastanza delicato nel descrivere i primi soprassalti amorosi di Maan e di Lei, il film perde decisamente di nerbo quando affronta il tema del rapporto della ragazza con il proprio passato che soggiace ad un substrato melodrammatico abbastanza deteriore. Nell’affrontare il tema della memoria e della malattia, purtroppo, il film rivela pesanti debiti con un discorso molto occidentale che ha un sapore quasi hollywoodiano (nel senso peggiore del termine) e la pellicola, pur conservando un’ispirazione e un’atmofera rigorosamente orientali (che specie in alcuni momenti si ammanta di qualche breve presagio di poesia più involontario che altro) sembra essere concepita per piacere ad un pubblico quanto più ampio possibile (di qui il suo ammiccare costante a soluzioni di marca decisamente occidentaleggiante). I paesaggi fluttuanti di cui parla il titolo, sono, in ultimo paesaggi del tutto interiori e, alla fine, a mancare in questa pellicola è proprio una visione reale dell’interiorità dei protagonisti. Nelle dinamiche abusate del campo e controcampo, nell’incalzare di dialoghi ovvi e spesso risibili, il film lascia presto il proprio spettatore del tutto indifferente e la mancanza di reali sorprese finisce presto per condurre ad un torpore della mente e ad un sonno profondo del cuore. Certo la fotografia è curata, la musica giustamente ossessiva, ma non bastano questi dati di pulizia formale a giustificare la presenza di questo titolo in concorso.

(Floating landascape); Regia: Carol Lai Miu Suet; interpreti: Karena Lam, Liu Ye, Ekin Chang

[settembre 2003]


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