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Bad 25

Pubblicato il 1 settembre 2012 da Giovanna Branca

VOTO:

Bad 25

Nato famoso, Micheal Jackson è forse l’unico caso di una persona che sfugge dal tradizionale cursus degli individui investiti dalla fama. Gettato sulla ribalta dalla più tenera età, non ha mai conosciuto la vita normale: è stato sempre e solo quello che alcune persone – pochissime – diventano dopo una lunga gavetta.
E’ nell’esatto venticinquennale dell’uscita di Bad – 31 agosto 1987 – che viene presentato a Venezia il documentario di Spike Lee, Bad 25 appunto, che ricostruisce la gestazione del successore dell’album più venduto della storia: Thriller. Visto il calibro del protagonista del film, la più grande popstar di tutti i tempi, e vista anche l’attenzione che Micheal Jackson ha sempre tributato all’aspetto visivo del suo lavoro - quei videoclip che ha sempre voluto chiamare short film per non sminuirli, per cui si sono scomodati personaggi come Martin Scorsese e John Landis – non poteva che essere un grande regista ad occuparsi di questo documentario. Senza peraltro dimenticare l’importanza che la cultura afroamericana in ogni suo aspetto riveste nel lavoro di Spike Lee. Un incontro perfetto, quindi. L’intento dichiarato del regista di La 25ma ora, nel suo percorso attraverso la genesi di ogni singolo pezzo che compone Bad, è quello di ricostruire il processo creativo che si cela dietro a canzoni tanto monolitiche da dare l’impressione di essere sempre state lì, dall’origine dei tempi, senza che nessuno si fosse mai preso il disturbo di scriverle. E il lavoro analitico portato avanti da Spike Lee è davvero notevole: scompone l’incredibile mole di lavoro di Jackson e del suo geniale produttore Quincy Jones attraverso filmati d’archivio mai visti prima e le testimonianze dei musicisti che hanno lavorato con loro, aprendo uno spiraglio da cui osservare veramente il genio all’opera, senza orpelli né omissioni.
Forse a causa del rispetto a tratti un po’ timoroso che pure un uomo come Spike Lee prova nei confronti di questa materia leggendaria, il documentario è piuttosto “normale”. Non piatto, ma neanche notevole per soluzioni particolarmente originali, procedendo tra classiche interviste, filmati e testimonianze di artisti contemporanei che rendono conto dell’immortale eredità del lavoro di Micheal Jackson.
Certo, visto l’argomento l’eccezionalità è solo li che attende di essere portata alla luce: dalle riprese del videoclip di Bad ricordate da Scorsese in persona ai racconti dei coreografi che hanno lavorato ai balletti di Smooth Criminal, dal duetto Siedah Garrett, che scrisse per Jackson Man in the Mirror, agli show dal vivo.
Qualcuno forse storcerà il naso per la presenza, tra gli artisti che tributano la loro riconoscenza a Micheal Jackson, di Justin Bieber. Ma sarebbe ben strano se Spike Lee avesse pensato a lui come erede in qualsiasi modo del re del pop; pare molto più probabile, o almeno auspicabile, che Bieber sia presente più per dare una nota ironica, di contrasto, su quelle che vengono considerate le icone dell’oggi. La sua vetta il film la raggiunge comunque quando racconta dei tentativi di Micheal Jackson di osservare la vita comune da vicino, travestendosi per non essere riconosciuto. Nei ricordi dell’amico John Branca, sognava di poter assistere ad una festa, nascosto, senza essere visto. Le tracce di una persona normale abortita ancor prima di potersi affacciare sul mondo, e nota invece a tutti per le sue stranezze. Racconta Scorsese che quando lo portò sulla location di Bad, la metropolitana di New York, Jackson rimase sorpreso di quanto il set somigliasse alla realtà.


CAST & CREDITS

(Bad 25) Regia: Spike Lee; fotografia: Kerwin Devonish; montaggio: Barry Brown; produzione: Optimum Productions; origine: Stati Uniti; durata: 123’.


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