C’era una volta in Messico
Terzo episodio di una serie che, iniziatasi con El Mariachi (fortunato esordio low budget di Robert Rodriguez) e proseguita con Desperado, Once upon a time in Mexico è uno dei frutti più maturi della poetica del regista messicano. Una poetica, questa, se vogliamo, paradossale, in cui il grado di maturità sembra doversi misurare sulla base della capacità dell’autore (che firma, qui, come ormai sua consuetudine, anche sceneggiatura, fotografia, montaggio e musica) di riuscire a tornare indietro nel tempo, attingendo dal proprio passato e dalla propria infanzia cinematografica temi e modi di scrittura. In questo senso Once upon a time in Mexico è un film autobiografico non certo perchè si limita a raccontare episodi o aneddoti tratti dalla vita del regista, né perchè in esso viene messo in scena uno spirito nazionalista certamente sentito, ma perchè rivela senza mezzi termini il modo tutto peculiare dell’autore di vivere e “viversi” il fatto cinematografico. All’interno di un discorso personalissimo in cui la “teoria” del Cinema si confonde ed è, anzi, tutt’uno con il pragmantismo del “fare cinema” e che sembra spingere in regista verso una sorta di tautologia secondo la quale l’autore sembra dichiarare a chiare lettere di “fare cinema per fare cinema”, il film si rivela presto esempio luminoso di una raggiunta ed incontrovertibile padronanza del mezzo. L’opera in esame colpisce prima di tutto per l’ampiezza inaspettata del quadro d’insieme (una caratteristica nuova per Rodriguez) e per la volontà di spostare, finalmente, le gesta dell’ormai mitico personaggio di El Mariachi in un contesto del tutto nuovo in cui una sorta di epica ironica (la contraddizione dei termini è solo apparente in un’epoca, come la nostra in cui si è perso ogni contatto con lo spirito dell’Epos) si sostituisce gradualmente all’astrazione stralunata dei primi episodi. Ne viene fuori un episodio conclusivo che, pur mantenendosi perfettamente in tono con le due puntate che l’hanno preceduto, sembra voler abbandonare i toni del racconto picaresco ed individuale per assumere quelli di un quadro corale (efficaci le scene del Giorno dei Morti già caro ad Ejzenstejn). Per questo motivo i nuovi personaggi che si affacciano sulla scena finiscono per arricchire il plot di eventi collaterali e di digressioni non accessorie che complicano enormemente la struttura dell’intreccio. Rodriguez azzecca alcune scene da brivido (i vari duelli tra l’agente della CIA, accecato dal nemico, e le sue molte nemesi si avvalgono di un editing eccezionale), firma una delle sue colonne sonore più affascinanti in cui la cifra segreta sempre essere quella di un canto hondo malinconico e potente (veramente bello il brano che accompagna i titoli di testa) e consegna al proprio pubblico un divertimento cinematografico leggero ed impalpabile quanto affascinante e spettacolare.
(Once upon a time in Mexico); regia: Robert Rodriguez; sceneggiatura: Robert Rodriguez; fotografia: Robert Rodriguez; montaggio: Robert Rodriguez; musica: Robert Rodriguez; interpreti: Antonio Banderas, Salma Hayek, Willem Dafoe, Mickey Rourke, Johnny Depp, Rubén Blades, Eva Mendes, Enrique Iglesias, Marco Leonardi; produzione: Carlos Gallardo, Elizabeth Avellan, Robert Rodriguez; origine: USA 2003
[novembre 2003]