ÇAMUR
Çamur non è una storia sulla guerra, anche se c’è dappertutto il conflitto greco-turco; non è una storia sui confini, anche se c’è, col filo spinato e viene pure spostato, a mano, dai protagonisti. Çamur è soprattutto il film di una generazione inghiottita che continua negli anni a pagare il colpo di disgregazione e violenza inferto nella giovinezza. Ma questo aspetto, senz’altro più fecondo del primo, nel momento in cui si fonde col primo, nel finale, si annacqua in una metafora camuffata nella surrealtà. Dei quattro personaggi, il più importante è Alì (Mustafa Uðurlu), soldato a guardia del confine con il lago salato (una specie di deserto dei tartari). Passa le sue giornate a scavare in una fanghiglia che lui e una serie di abitatori freak del posto considerano taumaturgica. Alì ha una malattia che gli comporta svenimenti improvvisi, dispnea, perdita della voce. Un male sconosciuto alla letteratura medica ma non a quella della mitopoiesi novecentesca più tipica: una sindrome taurina e una rinuncia/denuncia a esprimere una verità troppo atroce per essere detta a parole. In quel fango si mescola il passato lontanissimo delle statue votive che riemergono e quello recente dei massacri occultati per odii e vendette. La trovata finale dell’inseminazione artificiale con lo sperma dei morti, per fare in modo che il dolore della memoria sopravviva anche alle nuove generazioni, risolve platealmente un film che aveva proceduto per bei quadri, alternati alla misteriosa pantomima del silenzioso protagonista.
[agosto 2003]
Cast & credits:
Regia: Derviþ Zaim; sceneggiatura: Derviþ Zaim; montaggio: Francesca Calvelli; fotografia: Feza Caldiran; musica: Michael Galasso, Koulis Theodorou; interpreti: Mustafa Uðurlu, Yelda Reynaud, Bülent Emir Yarar, Taner Birsel; produzione: Marathon Filmcilik, Downtown Pictures; origine: Turchia 2003.