Cannes 2007: A Via Lactèa - Settimana della Critica
Montaggio veloce, inquadrature dinamiche. Un uomo cammina nervosamente. Si dirige verso un parcheggio, attraversa la strada. La macchina da presa lo perde. Esce fuori campo. Rumore improvviso d’incidente. Stacco. La scena si ripete, identica. Vediamo però l’uomo entrare nel parcheggio e prendere la macchina.
Questo è l’incipit di A Via Lactea, primo film presentato nel concorso della Semaine International de la Critique.
Pur partendo da uno spunto narrativo forse banale, e pur avendo una struttura narrativa ormai già vista, la pellicola nel complesso risulta una piacevole sorpresa. La regista Lina Chamie porta sullo schermo un film-sogno, che più che interessarsi al racconto e ai personaggi, preferisce focalizzarsi sull’atmosfera, sulla cornice formale della rappresentazione.
Ciò nonostante, non si riduce ad un semplice e banale esercizio di stile. Il film, infatti, si sviluppa come un puzzle onirico che propone salti temporali, sequenze che si ripetono apparentemente uguali, frasi ricorrenti, metafore visive, citazioni letterarie. In questo modo la narrazione si spezza e ottiene dinamismo. Conquista l’attenzione dello spettatore immergendolo in un racconto fatto di memorie sparse casualmente. Ogni sequenza sembra scomporre o addirittura negare la precedente; inverte le parti, cambia le prospettive.
Le repentine inversioni narrative corrispondono il più delle volte a cambi di tono, che prima è ironico, poi intensamente drammatico, poi ancora profondamente dolce. Si, dolce, perché A Via Lactea è anche e soprattutto una storia d’amore, un racconto di sentimenti e di affetti, che vive della forza del ricordo e dell’immaginazione. Un’immaginazione pronta a riscrivere la memoria.
Il pubblico, emotivamente preso dal gioco stilistico e narrativo della regista, mettendo insieme i pezzi del puzzle, non riesce a ricostruire la realtà dei fatti, ma ottiene soltanto il quadro sentimentale di Heitor, il personaggio principale, pieno d’amore e di gelosia.
Ciò che viene proiettato sullo schermo non ha la fisicità del vero. Il film è la rappresentazione della realtà interiore del protagonista, in bilico tra vita e morte. Una realtà aleatoria, forse menzognera, ripresa da una macchina mai immobile, che si sofferma sui dettagli di ogni spazio e di ogni azione. La regia della Chamie descrive, infatti, ogni minimo particolare come se stessimo leggendo un romanzo, in modo così da rendere alla perfezione la soggettività del protagonista, scrittore di professione.
Il risultato finale non è, come potrebbe sembrare, un confusionario pastiche visivo. La pellicola, anzi, si fa apprezzare perché, nonostante la diversità di stili e di prospettive presenti, riesce ad avere una sua forte unità. Inoltre la regista riesce a suggestionare anche grazie al lavoro che attua sul suono, che fonde e confonde reale ed onirico.
Il gioco stilistico dell’intero film, però, non funziona fino in fondo. Alla lunga il tentativo di stupire il pubblico finisce per essere a tratti banale e un po’ ripetitivo.
Pecca registica, questa, che tuttavia non può annebbiare l’evidente capacità inventiva della Chamie.
(A Via Làctea); Regia: Lina Chamie; sceneggiatura: Aleksei Abib, Lina Chamie; fotografia: Katia Celho; montaggio: Andrè Finotti; suono: Louis Robin; interpreti: Marco Ricca (Heitor), Alice Braga (Julia); produzione: Girafa Filmes; distribuzione: Bras Filmes; origine: Brasile; durata: 86’