Cannes 2007: Ploy - Quinzaine des Realisateurs
Presentato nella Quinzaine des Realisateurs, Ploy è un film che viaggia sul duplice binario di realtà ed immaginazione. Utilizzando solo tre personaggi ed un unico spazio scenico, la pellicola esplora le tematiche della gelosia, del matrimonio e del sesso.
Il regista e sceneggiatore Pen-ek Ratanaruang, al suo ottavo film, indaga il mondo dell’amore per cercare di capire i motivi per cui esso, quasi sempre, perde la sua magia e svanisce. Wit e Dang, sposati da sette anni, tornano in Thailandia per un funerale. Lei ex star del cinema, lui titolare di un ristorante negli Usa, arrivano a confrontarsi sui loro problemi di coppia facendo emergere tutti i dubbi celati nel loro rapporto. La goccia che fa traboccare il vaso è la giovane Ploy, incontrata da Wit al bar dell’albergo e ospitata in camera per passare la notte.
Da qui inizia quella dinamica narrativa che alterna realtà, immaginazione e sogno (forse bisognerebbe parlare più di incubo). Le dimensioni si combinano, si fondono e si confondono dando vita ad un racconto che mescola le carte lasciando il pubblico senza punti di riferimento.
I desideri e le paure si fanno immagini, e la cronaca delle incomprensioni tra i due coniugi acquista un’atmosfera onirica. Le morbide carrellate fanno respirare lentamente la narrazione, ma vengono spesso interrotte da bruschi stacchi di montaggio. Essi dividono la storia in capitoli che tra di loro non sembrano avere una connessione logica di consequenzialità, tanto da lasciare lo spettatore incerto e dubbioso.
A conferma di ciò è l’inserimento del racconto parallelo di due dipendenti dell’albergo che si incontrano in una stanza per fare sesso senza mai rivolgersi la parola. Mostrata in montaggio alternato con la storia principale, questa appendice narrativa si conclude con una sequenza da musical e risulta nel complesso di difficile comprensione. Immaginazione, sogno, realtà o metafora antitetica della passione ormai sfumata tra Wit e Dang?
Ploy è dunque un film che offre molteplici e difficili chiavi di lettura. Pen-ek Ratanaruang, nonostante muova con grazia la macchina da presa e sappia caratterizzare al meglio i suoi personaggi, cuce una traccia narrativa confusionaria, che all’inizio stupisce positivamente lo spettatore, ma che purtroppo alla lunga annoia e lascia perplessi. Il regista thailandese cerca di sfruttare in tutti i modi il carattere simbolico che la macchina cinema può offrire. Il suo gioco però si ferma quando esauriscono le idee ed il film si abbandona alla ripetizione della stessa struttura narrativa.
(Ploy); Regia: Pen-ek Ratanaruang; sceneggiatura: Pen-ek Ratanaruang; fotografia: Chankit Chamnivikaipong; montaggio: Patamanadda Yukol; musica: Hualampong Riddim, Koichi Shimizu; scenografia: Saksiri Chantarangsri, Wittaya Chaimongkol; interpreti: Lalita Panyopas (Dang), Pornwut Sarasin (Wit), Ananda Everingham (Nut), Apinya Sakuljaroensuk (Ploy), Phorntip Papanai (Tum); produzione: The Movie Co. Ltd; distribuzione: Fortissimo Films, A Five Star Productions, The Film Factory Ltd.; origine: Thailandia; durata: 107’