In concorso al Festival Internazionale del cinema di Roma nella sezione “Alice nella città”, Who is Dayani Cristal ? – tra l’altro vincitore della sezione documentaria al Sundance Festival- è un vivido ritratto di un’America vicina ma lontana anni luce dagli States. Raccontando la disperata migrazione di molte anime che cercano dal Messico di passare in California, si tratta dell’ennesimo film sull’immigrazione clandestina, in cui però si distingue la notevole regia di Marc Silver, accompagnata dalla brillante interpretazione di Gael Garcia Bernal, che di questo film è stato anche il produttore. Tutto inizia con il ritrovamento di un corpo, sul quale è presente un tatuaggio, appunto il nome di Dayani Cristal. Il brillante attore messicano riesce attraverso la sua carismatica presenza e bravura a riprodurre il percorso compiuto dal ragazzo, in maniera profonda e veritiera come se i suoi occhi vedessero con lo stesso sguardo di chi non è più in vita, come avrebbe fatto quel giovane individuato dalla polizia e poi riconosciuto dalla famiglia.
Il protagonista parte dalla cittadina dove viveva per montare clandestinamente su di treno della speranza e attraversare un paesaggio desolato fino al deserto dove le forze lo abbandonarono completamente. La profondità delle inquadrature e i colori dannatamente belli della natura selvaggia e assassina, simboleggiano l’implacabile destino di molti migranti che ostinatamente cercano di realizzare il loro sogno: la speranza di un futuro soprattutto per i figli lasciati ad attendere nel loro paesi d’origine.
Dayani Cristal, questo marchio indelebile sulla pelle del ragazzo di cui Bernal ripercorre gli ultimi giorni di vita, è il nome della sua bambina, abbandonata in Messico come prolungamento della sua invisibile vita. Il treno che attraversa le terre desolate verso l’American Dream sembra essere un’inevitabile odissea per chi non ha avuto l’opportunità di vivere oltre il confine dei paesi ispano-americani. La crudeltà dell’immagine di vita contro quella di morte e il breve e labile passaggio dall’una all’altra, sono rappresentate in modo spietato dall’arrivo del feretro del ragazzo nella sua terra natia, a cui viene restituito il corpo dal tatuaggio misterioso.
Ciò che limpidamente emerge da questo bel documentario di Marc Silver è una ferrea intenzione di ripetere in modo incessante il concetto di assurda persecuzione contro degli esseri umani, che - come dichiara nell’intervista finale uno degli amici del ragazzo scomparso - rappresentano una ricchezza da poter sfruttare, invece di spendere somme ingenti nella costruzione di un muro emblema di un’inutile chiusura e di una falsa protezione verso l’estraneo.