FESTA DEL CINEMA DI ROMA - CONFERENZA STAMPA DI LA FAUTE À FIDEL - 14/10/06

Sono presenti in sala la regista Julie Gavras, il co-protagonista Stefano Accorsi e Domitilla Calamai, autrice del libro Tutta colpa di Fidel da cui è stata tratta la pellicola.
Questo film non è in concorso: possiamo perciò dire quanto lo abbiamo amato. E abbiamo amato il punto di vista della bambina.
Julie Gavras: Era così già nel libro.
Quando e come mai Julie Gavras ha letto il romanzo?
Ho vissuto in Italia tredici anni fa: chiedevo notizie di Domitilla Calamai, che allora aspettava un bambino, e un’amica in comune mi ha riassunto il libro, che trattava dei sentimenti e dell’infanzia.
Domitilla Calamai: l’amica in comune è la produttrice Conchita Airoldi.
Il cambiamento psicologico nel personaggio di Stefano Accorsi: hai trovato problemi nell’interpretare un hidalgo traslocato in Francia?
S.A.: Francia e Spagna per me sono due Paesi stranieri, ma questo diventa un problema secondario quando un personaggio è ben scritto e si capisce come si comporterà.
E racconta il modo di comportarsi delle “buone” famiglie.
Si tratta di una famiglia così classica...
Come è stata scelta la piccola protagonista? Come è stato dirigerla e recitarci accanto?
S.A.: E’ stato molto più facile di quello che potrebbe sembrare: è stata una bambina sempre concentrata; per i bambini recitare è un gioco, e sono più attenti alle sfumature. Ed è stato bello e stimolante. Si tratta di dargli degli stimoli, stare in contatto, e aspettare quello che loro daranno a te. Da piccoli ci si crea una propria visione del mondo legata ai pochi elementi che si hanno a disposizione: mi affascinava questo punto di distacco rispetto agli adulti.
J.G.: Ho visto 400 bambine in 6 mesi, Nina è arrivata tardi, intorno al quarto mese. Io ho impiegato più tempo della produttrice e della direttrice del casting per decidermi a prendere Nina: si trattava di una scelta difficile, doveva reggere su di sé l’intero film. Ma è una bambina caparbia e tenace.
La tua scrittura, anche quella cinematografica, è molto precisa: eppure il tuo non è un film cinefilo.
J.G.: Ho rubato delle cose per il copione e le immagini, ad esempio Creature del cielo per quanto riguarda la scena iniziale: ma si tratta più di piccole idee che di teoria e modo di filmare. A me interessa inventare una storia, poi devo solo trovare il modo di raccontarla. Prima di questo film ho fatto solo documentari.
Per La Faute à Fidel ho diretto coppie di attori molto diversi tra loro: Julie Depardieu è molto istintiva; con Stefano, invece, si può parlare molto di più; col bambino, che ha solo quattro anni, ho potuto fare come volevo; Nina, invece, vuole le spiegazioni solo per il ciak successivo e nulla di più.
Il film giunge in Italia sorretto da una certa forza distributiva, garantita dalla Gaumont: hai trovato difficoltà a trovare i finanziamenti?
No: sono stata molto fortunata, conoscevo Silvie (la produttrice Pialat, ndr). Per me era importante che si trattasse della prima esperienza per entrambe, così che ci fossero stimoli maggiori.
D.C.: E’ stato un debutto generale: per me il primo libro e il primo film per la regista, la produttrice e la bambina. Come è nata l’idea del libro?
E’ nata in me: non mi abbandonava mai, persisteva in me. E allora mi sono messa in una stanza e ho scritto come per necessità, senza troppa razionalità.
Cosa pensa Stefano Accorsi della persona che ha portato sullo schermo? L’andare e il venire di speranze e delusioni per un’intera generazione.
Si tratta di un discorso ampio: la Spagna di Franco era venti anni indietro rispetto al resto d’Europa; Fernando vive in Francia, Paese all’avanguardia, e si impegna per il Cile. E’ un personaggio diviso che ha deciso di dimenticare e farsi una ragione di quello che accade nel suo Paese: ma tutto cambia dopo la morte del cognato, tutto gli viene sbattuto in faccia. Non gli sembrava giusto manifestare nel ’68 solo perché era poco più grande di chi scendeva in piazza, e perché era un avvocato, un amante dell’ordine; e sceglie di continuare a seguire il suo lavoro, ma impegnandosi per Allende, un rivoluzionario “borghese” che non ha mai usato metodi cruenti, nonostante i suoi avversari fossero dei violenti. Fernando non è un personaggio cattivo: vuole solo liberarsi di un fardello.
Tra il ’68 e il ’75 in Europa vi è stato un tentativo di cambiamento. Il personaggio di Accorsi mette in discussione le sue radici: tu ne saresti capace?
Erano due mondi in conflitto, padri contro figli: oggi... probabilmente si può sempre fare, anche se non è mai facile. Comunque non è che Fernando butti tutto alle ortiche: non smette di fare l’avvocato, anche se guadagnerà meno soldi e rischierà di sfasciare la famiglia.
Nel romanzo le conseguenze sono più drammatiche...
D.C.: il romanzo abbraccia un periodo di tempo più lungo, la famiglia si sfascia e i genitori si separano.
Perché nel film l’ha tenuta in vita, a quanto sembrerebbe?
J.G.: Non mi interessava discorso sul divorzio, ma solo la visione della bambina, una borghese che vede tutto sconvolto da un’idea bella dei genitori, anche se per lei è terribile.
Stefano, ti piace l’accoglienza di Roma?
S.A.: E’ molto bello per Roma e il cinema, è bello che tanti film possano essere visti da tanto pubblico, e non solo dagli addetti ai lavori. E’ tutto molto democratico, come Allende...
