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FESTA DEL CINEMA DI ROMA: THE ADVENTURES OF GREYFRIARS BOBBY

Pubblicato il 30 ottobre 2006 da Alessandro Izzi


FESTA DEL CINEMA DI ROMA: THE ADVENTURES OF GREYFRIARS BOBBY

The adventures of Grefriars Bobby, presentato al di fuori di ogni contesto specifico alla prima edizione della Festa del cinema di Roma, è un classico film di buone intenzioni per tutta la famiglia.
Nel narrare le disavventure di un cane che vede morire il suo padrone e che si ostina a voler rimanere sulla tomba di quest’ultimo fino alla fine dei suoi giorni, il regista Henderson trova l’occasione per comporre un piccolo affresco molto manierato sulla condizione delle periferie di Edimburgo alla fine del secolo scorso.
Bobby, il piccolo cane che caparbiamente si oppone alle mire dei potenti e degli sfruttatori pur di poter restare al fianco del proprio padrone, diventa, quindi, il simbolo tangibile di un principio di lotta di classe, il segno di tempi che maturano verso precise rivendicazioni di dignità e civiltà. Nella sua ostinazione a voler mantenere una propria posizione, nella sua intelligenza antromorfica che non riesce e non può trovare lo spazio della parola, ma che resta, comunque, molto eloquente tutti gli sfruttati e i diseredati della società hanno potuto veder riflessa la loro stessa immagine e i loro stessi desideri.
Con The adventures of Greyfriars Bobby siamo, insomma, dalle parti di quel versante della produzione britannica che, pur non abdicando alle ragioni di uno spettacolo commerciale e al fondo anche troppo garbato, non rinuncia a precise vocazioni da spaccato sociale.
Nel precario equilibrio che si viene a creare tra queste due componenti, però, il gioco risulta un po’ troppo spesso spinto a favore del puro e semplice intrattenimento e la realtà sociale, che dovrebbe essere la vera motivazione del discorso, finisce per appiattirsi eccessivamente sullo sfondo, diventando spesso sin troppo inerte.
Poco si vede, in effetti, dei meccanismi di sfruttamento in atto nell’Inghilterra nel pieno del suo possente slancio industriale e anche le strade, che dovrebbero essere piene di barboni e di carcasse e rifiuti maleolenti, si limitano ad ospitare, sotto un unico ponte, un solo senza tetto di molto buon cuore, per di più. Gli stessi proprietari delle industrie, che compaiono più volte sulla scena, sono relegati alla realtà molto manichea dei “cattivi di turno” e come tali sono restituiti sullo schermo in una posizione da maschera di commedia e mai in una logica davvero sociale o anche più semplicemente e più ambiziosamente umana.
Ed è proprio qui il limite di questa, in fondo, garbata operazione: nel suo ancorarsi così pervicacemente nel solco di un vero e proprio spettacolo di “figure” che certo potrà piacere ai bambini ed emozionare qui e lì anche gli adulti, ma che sacrifica all’altare dei toni edificanti tutto ciò che nella storia (ispirata a fatti reali) poteva davvero creare il “di più” di un senso concreto.
Quello che abbiamo di fronte, insomma, è un prodotto, non possiamo negarlo, piuttosto curato nella forma, con la sua fotografia pastosa e dai colori delle acqueforti d’epoca, con la sua musica enfatica, ma mai davvero troppo invadente (eccezion fatta di un paio di pieni d’orchestra messi in bella posta a ricattare le emozioni dello spettatore) e con i suoi attori tutti in forma e perfettamente calati nel solco dei loro personaggi unidimensionali (il piccolo protagonista e il solito gigantesco Christopher Lee nella parte del sindaco buono della città, da soli garantiscono un motivo sufficiente per vedere il film). _ Riprendendo atmosfere tipicamente Dickensiane (del Dickens che siamo abituati a vedere al cinema da David Lean in poi) senza indulgere troppo nelle possibilità offerte dal racconto di formazione, il regista racconta, insomma, la storia di un cane eccezionale. Umano. Troppo umano.
Una piccola cronaca ideale per condire necessarie dissertazioni sui diritti degli animali (era questa la cornice nella quale il film è stato presentato), ma che, al fondo, brilla di una posizione fin troppo semplicistica sull’argomento. Perché ricorre costantemente al ricatto del bel musetto e dell’intelligenza vispa per ispirare immediata simpatia. E ci insegna, in fondo, che per amare gli animali dobbiamo imparare ad amare, in essi, il lato più spiccatamente umano e, quindi, a continuare ad amare nient’altro che noi stessi.

[Ottobre 2006]

(The adventures of Greyfriars Bobby); Regia: John Henderson; sceneggiatura: John Henderson, Richard Mathews, Neville Watchurst; fotografia: John Ignatius; montaggio: David Yardley; musica: Mark Thomas; interpreti: James Cosmo (James Brown), Suzanne Dance (Smithie’s Worker), Ron Donachie (Laurie), Charles Donnelly (Trader With Pie), Lawrence Douglas (Civil Servant), Tom Freeman (Bemused Sentry), Frank Gilhooley (Chef), Oliver Golding (Ewan Adams), Christopher Lee (The Lord Provost); produzione: Christopher Figg; webinfo: Sito ufficiale


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