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FESTA DEL CINEMA DI ROMA - CONFERENZA STAMPA DI PLAYING THE VICTIM - 20/10/06

Pubblicato il 21 ottobre 2006 da Marco Di Cesare


FESTA DEL CINEMA DI ROMA - CONFERENZA STAMPA DI PLAYING THE VICTIM - 20/10/06

Il regista russo Kirill Serebrennikov viene a parlarci del suo bel film; con lui le produttrici Natalia Mokrizkaya e Uliana Savelieva.

Come mai Serebrennikov si è interessato a un film così, un noir, essendo lui uomo di teatro?

E’ una lunga storia, che risale alla mia infanzia. Sono cresciuto a Rostov sul Don: vivevo vicino a un club di cinefili, dove si proiettavano film italiani dagli anni ’60 agli ’80, pellicole di Tarkovskij e di altri. Mio nonno ha studiato e distribuito Ejzenštejn e Dovzenko. Io ho sempre voluto occuparmi di cinema, ma allora non ne avevo le possibilità: si poteva entrare alla scuola di cinematografia solo attraverso amicizie molto potenti. Per cui mi sono laureato in fisica, ma ho sempre desiderato fare cinema. Nella Russia moderna tutti i giovani che sono entrati nel mondo del cinema, sono passati attraverso le strade più disparate.
Playing the Victim non è il mio primo film, poiché ho già lavorato in televisione. Ho fatto un film in video, Scene di letto, che è passato in vari festival, sempre coi fratelli Presnyakov alla sceneggiatura. Ma questo è la mia prima vera opera fatta con amore, con una mia troupe e potendo contare su rapporti amichevoli col produttore: di solito i produttori non vogliono rischiare e le sceneggiature trovano delle difficoltà a diventare film.
Il mio film è uscito in Russia, ma ha potuto disporre di pochi soldi per il battage pubblicitario: non è stato visto moltissimo, anche se c’è stato un passaparola. E’ strano, però, che sia stato apprezzato sia da gente semplice, che ha noleggiato il dvd, che dagli oligarchi: e io non riesco a capire cosa possa essere piaciuto a questi ultimi... Ha un finale disperato.

Sono stato colpito dall’utilizzo di registri diversi: riprese normali, telecamera digitale e inserti a fumetto.

Lo scorrere delle immagini doveva venire continuamente interrotto, per cui l’impostazione originale si è opposta a sequenze fatte di piani lunghi: alcune scene sono state riprese di nuovo attraverso la videocamera, fatto che ha costretto il nostro operatore a diventare un dilettante...
La storia viene raccontata dal punto di vista del ragazzo, per cui ho dovuto mostrare il suo inconscio attraverso dei disegni animati: in questo sono stato aiutato da alcuni famosi autori russi di comics. Ne è nata una forma eclettica che ben rappresenta le varie componenti psicologiche dell’eroe, che vive su vari piani (la casa, il lavoro).
Con la stessa sceneggiatura Playing the Victim è in scena al Teatro d’Arte di Mosca, quello fondato da Stanislavskij, ma lo spettacolo presenta una struttura diversa: l’eroe non ha delle caratteristiche particolari, è un ragazzo del coro, cui ogni spettatore può associare la sua propria personalità. Invece il protagonista del film ha una individualità ben evidente, ha un talento, eppure ha paura di vivere: se anche una persona così ha questi timori, che vita è questa?

Una domanda per le produttrici: quali difficoltà avete incontrato?

Oggi in Russia si realizzano molti film, c’è un vero e proprio boom: chi lavora nel cinema ha imparato come fare film commerciali; l’organizzazione produttiva e distributiva è addirittura superiore a quella americana. Ma per le opere di tipo diverso è più difficile trovare i soldi: queste possono, però, contare su un grosso contributo statale.
Noi siamo molto grati di essere qui, al Festival, anche perché gli artisti russi sono sempre stati attratti dall’Italia: ci sentiamo come se fossimo a casa.
Serebrennikov: la Russia oggi è vista per motivi che nulla hanno più a che vedere con Dostoevskij e Puškin; il mio film ha delle caratteristiche politiche e sociali ben precise e io sono molto contento di avere creato una rappresentazione artistica di quanto accade oggi in Russia.

Come Dostoevskij con la società della sua epoca: il suo è quindi un film dostoevskijano?
Sì.

Per quanto riguarda la parte narrativa, nella realtà davvero si prendono delle persone per simulare dei delitti? In America no, ad esempio.

Una pratica del genere esiste realmente, solo che noi l’abbiamo drammatizzata e portata all’assurdo: persone che raffigurano la vita come rappresentazione.
Posso vedere la reazione del pubblico occidentale oggi; per i Russi è un film ridicolo, ma anche molto amaro. Mi interessa vedere come verrà recepito il monologo del poliziotto: nella mia terra vengono commessi molti omicidi. Però mi dispiace che le parolacce in italiano non potranno essere rese così espressivamente come in russo!

Attraverso questo film cerca di dimostrare cosa passa per la testa dei Russi oggi?
Questa è una grossa responsabilità, non posso rispondere per tutte le teste: in molte c’è il terrore, in molte la speranza, in molte l’insicurezza. Il giorno dell’omicidio di Anna Politkovskaya (giornalista russa invisa al Cremino per le sue denunce della politica russa in Cecenia, ndr) non siamo riusciti a portare in scena lo spettacolo, perché alla protagonista tremavano le mani. In molte teste esiste la voglia di cambiare; noi combattiamo contro l’ottusità e contro chi non vuole un mutamento in Russia.


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