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FESTA DEL CINEMA DI ROMA-INCONTRO CON SUSAN BIER

Pubblicato il 20 ottobre 2006 da Sila Berruti


FESTA DEL CINEMA DI ROMA-INCONTRO CON SUSAN BIER

Segue un caloroso e commosso applauso al termine della pellicola presentata in concorso a questa prima edizione della Festa del cinema di Roma. visibilmente emozionata anche la regista che dopo il grande successo di Non desiderare la donna d’altri, torna ad emozionare il pubblico con un altro importante film.

In questo film lei affronta due problematiche molto importanti: il rapporto tra oriente e occidente e la difficoltà di intervenire nei problemi dei paesi del terzo mondoda una parte e la famiglia e le relazioni tra i vari mebri di essa dall’altra. Come ha lavorato su questo doppio binario?

Si puotrebbe dire che questo film tratti vuoi dei rapporti famigliari, vuoi del rapporto tra due culture così lontane e diverse . Ma in realtà la pellicola racconta di quello che accade quando uno progetta un certo piano di vita ma poi si rende conto di non averne intrevvisto le conseguenze. Jacob, per esempio, gestisce un orfanotrofio poi, costretto, torna in Danimarca e cambia radicalmente la visione che ha rispetto al contributo che può dare all’india.

E’ un film che tratta molto della paura del controllo sulla propria vita. Soprattutto il miliardario che deve investire sul progetto di Jacob, è un personaggio che vuole avere tutto sotto controllo addirittura la propria morte. E’ chiaramente una metafora della cultura occidentale, nella quale tutto è pianificato e nulla può sfuggire. Dall’altra parte abbiamo un paese come l’india che il problema della morte lo risolve in maniera del tutto diversa.

E’ interessante questo timore che pervade l’occidente quando si rapporta con la propria realtà: noi spesso crediamo di riusciare a controllare le cose ma quando ci rendiamo conto che non possiamo gestire proprio nulla nasce lo sconcerto. Il personaggio principale è un uomo molto fortunato che arriva anche programmare la sorte della famiglia dopo la sua morte. Ed è in questo contesto che possiamo parlare del rapporto tra oriente e occidente: l’uomo si accorge che deve affrontare da solo la propria morte e questo senso di ansia fa passare tutto in secondo piano. Abbiamo scelto l’India perché si tratta di un luogo dove è impossibile imporsi, portare aiuto solo fino ad un certo punto.

Ci sono molti toni melodrammatici nel suo film ma che lei traspone con una certa crudezza spostando quali sono i riferimenti letterari?

Vorrei contestare l’utilizzo della parola melodramma, perché i melodrammi sono strutturati attarverso un meccanismo che gioca a scapito a scapito del personaggi ch epassano in secondo piano. Io non ho uno stile particolare la mia intenzione è di narare la storia e il dramma nel modo più onesto e possibile. Non c’è un riferimento letterario abbiamo ovviamente fatto appello ai grandi drammaturghi scandinavi ma è un paragone pretenzioso.

La Danimarca è un pese relativamente piccolo ma importante anche grazie al movimento Dogma e quale è la scena cinematografica danese

Il movimento Dogma è stato molto importante per la scena danese 15 anni fa abbiamo prodotto più ma film abbassando il budget. Ritengo quindi che quando il numero delle produzioni aumenta, di conseguenza, la possibilità di avere film di successo. Le regole del Dogma hanno reso la produzione più snella concedendoci di concentrarci sui personaggi e così gli attori hanno sviluppato il loro talento in misura maggiore. Questo ha rafforzato l’industria perché il lavoro è aumentato. Tutti siamo migliorati, anche i produttori. Attualmente è molto eterogeneo, le produzioni meno ricche ma anche più interessanti. Realizziamo 25 lungometraggi all’anno e ora anche il pubblico danese vuole vedere i film danesi. Riusciamo a vendere i nostri film nel resto del mondo. Produciamo molto e meglio. Abbiamo un sistema che sostiene la nostra cinematografia.


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