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FESTA DEL CINEMA DI ROMA - MON COLONEL

Pubblicato il 19 ottobre 2006 da Marco Di Cesare


FESTA DEL CINEMA DI ROMA - MON COLONEL

All’indomani di un dibattito politico sulle atrocità della guerra d’Algeria in cui ha difeso l’onore dell’esercito francese, l’anziano colonnello Duplan viene trovato ucciso. Delle indagini vengono incaricati il commissario Reidacher e il tenente Galois, a cui un anonimo spedirà le pagine del memoriale della recluta Guy Rossi: attraverso flashback in bianco e nero che occupano la gran parte del film, scopriremo la realtà sul conflitto franco-algerino.
Costa-Gravas produttore e sceneggiatore, i fratelli Dardenne coproduttori: di certo pochi film possono contare sull’unione delle forze di personalità così prestigiose, da cui è sempre lecito attendersi qualità e impegno politico messo in scena per mostrare i diseredati che vedono la storia svolgersi dal basso, deboli vittime di ingranaggi che li sovrastano. Ma nel caso di Mon colonel esistono una serie di "ma".
Film di guerra con un tocco poliziesco, soprattutto racconto morale: con questa pellicola la Francia dovrebbe fare i conti con il suo passato di violenta potenza colonialista che non voleva abbandonare l’Algeria per non diventare zoppa e per non rimanere orfana della sua grandeur. Attraverso questo film noi tutti dovremmo subitaneamente pensare ai dolori arrecati dalla guerra contemporanea: sevizie, torture, stragi di innocenti, delitti perpetrati per portare la civiltà occidentale e per combattere il Terrorismo. Ed è quello che accade alle nostre menti sempre più indignate nello scoprire come Passato e Presente siano non solo intrinsecamente legati, ma anche e soprattutto isomorfi. Ma tutto ciò risalta ai nostri occhi in maniera troppo semplice: tutto viene posto di fronte a noi, in modo che non possiamo scoprire altro al di là di quello che ci viene “spiegato”.
Probabilmente nella realtà esisteranno anche, o almeno saranno esistiti, personaggi come Duplan, un inusuale guerrafondaio catto-maoista che non nutre alcun dubbio su di sé e che vede chi e quanto lo circonda solo attraverso il suo egocentrico sguardo: ma è certo che il cinema non abbisogna di figure così granitiche che, ormai, dovrebbero risultare delle caricature inguaribilmente non veritiere, personaggi utilizzati dagli autori per dimostrare una tesi aprioristica, e per questo motivo totalmente indimostrabile. Inoltre Cécile de France, nella parte del tenente Galois, non è più che un bel corpo in divisa, mentre lascia molto a desiderare dal punto di vista della capacità recitativa: totalmente inespressiva, non sa mai mostrare forte e realistica empatia, colpa ancora più grave se si pensa che dovrebbe incarnare il trait d’union tra passato e presente, gli occhi attraverso i quali ci vengono mostrare le parole del memoriale. Così come risulta inutile la comparsata finale di Charles Aznavour, personaggio cardine che viene presentato senza alcun pathos. Certamente questo è un modo per affermare con pervicacia come la debolezza della cornice ambientata ai nostri giorni, sia un pretesto per parlare di un passato che preme su di noi, ma di cui noi non riuscimo ad accorgerci compiutamente.
E il passato, la storia premono sullo stesso Mon colonel: si tratta di un fantasma a piè sospinto evocato, quello de La battaglia di Algeri. L’unico aspetto che il film di Costa-Gravas ha in più rispetto a quello di Pontecorvo, è la maggiore aderenza alla realtà dei civili francesi razzisti verso gli algerini, ma comunque anche loro vittime, in un Paese non loro, ma nel quale sono radicati da decenni. Altra nota positiva è la prova di Robinson Stevenin, nella parte della giovane recluta Guy Rossi: idealista che crede nella possibilità di una pacifica convivenza tra francesi e algerini, ma che dovrà scontrarsi con la realtà; dubbioso personaggio perfetto contraltare alle sicurezze del colonnello Duplan, poli di un tipico scontro generazionale padre-figlio; infine, unico personaggio vivo, che subisce una mutazione lungo il film, da buon soldato parigino, a complice costretto a partecipare alle torture sui prigionieri, fino alla sua scomparsa, causata da una fuga tra le fila dei "terroristi", e probabilmente alla sua uccisione per mano del fuoco francese.
Le colpe dell’esordiente regista Laurent Herbient risiedono principalmente nel non aver voluto contenere la vis di Costa-Gravas, certamente perché soggiogato dalla personalità di un’icona del cinema: probabilmente, per l’esito finale della sua opera prima, sarebbe stato meglio se i due magnifici fratelli belgi avessero fatto sentire maggiormente la loro presenza di autori moderni.

(Mon colonel) Regia: Laurent Herbiet; soggetto: Francis Zamponi, tratto dal suo romanzo omonimo; sceneggiatura: Costa-Gravas e Jean-Claude Grumberg; fotografia: Patrick Blossier; montaggio: Nicole D.V. Berckmans; musica: Armand Amar; interpreti: Olivier Gourmet (Colonnello Duplan), Robinson Stevenin (Guy Rossi), Cécile de France (Tenente Galois), Charles Aznavour (Padre di Rossi), Bruno Solo (Commissario Reidacher); produzione: KG Productions, Arte France Cinema, Wamip Films, Les Films du Fleuve, RTBF; origine: Francia e Belgio 2006; durata: 110’.


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