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FESTA DEL CINEMA DI ROMA - THE WAR TAPES

Pubblicato il 17 ottobre 2006 da Marco Di Cesare


FESTA DEL CINEMA DI ROMA - THE WAR TAPES

Una guerra è sempre la Guerra. E un soldato dovrà forse agire come un automa, ma avrà sempre la possibilità di pensare rimanendo un individuo e di ribellarsi all’imposizione dell’altrui punto di vista. Magari tenendo una videocamera in mano e mostrandoci l’Iraq in fiamme attraverso il proprio personale punto di vista, in contrapposizione ai dettami del Pentagono, che ha cercato e ottenuto un’informazione embedded di propaganda, a proprio uso e consumo. E chi - ironia del film - è maggiormente embedded di un soldato che combatte in prima persona, ma che riesce a restituirci una versione finora mai vista del campo di battaglia?
The War Tapes segna il debutto sul grande schermo di Deborah Scranton, giornalista freelance che con questa sua opera ha vinto il premio per il miglior documentario all’ultimo Tribeca Film Festival. La Scranton ha dato vita a un coinvolgente apologo contro la guerra, un attacco frontale alla politica di Bush e Cheney, pur riuscendo a convincerci di aver mantenuto uno sguardo oggettivo che nasce davanti a noi, si evolve e rafforza momento dopo momento, senza pregiudizi, perché filtrato attraverso i cine-occhi di tre soldati della Guardia Nazionale del New Hampshire coinvolti in prima persona e capaci di sconvolgere la passività del pubblico. I protagonisti del film sono visti attraverso un amore impassibile e tenero, misto tra la neutralità del documentario e una pur minima drammatizzazione tipica del racconto di fiction. L’intervento dell’autore supremo che ha montato le riprese degli autori improvvisati è talmente forte e ben riuscito da non poter essere neanche più notato: sogno, questo, di zavattiniana memoria. E fondamentale premessa è l’esemplificazione attuata tramite l’esposizione di alcuni casi esemplari.
Steve Pink è un giovane che sogna un futuro da scrittore; Zack Bazzi uno studente americano figlio di libanesi e non ancora cittadino statunitense; Mike Moriarity un premuroso padre di famiglia e fervente patriota. Quello che hanno in comune è la mancanza dei soldi necessari per potersi iscrivere all’università o per mantenere i propri cari. La guerra mostrerà, poi, le loro differenze culturali: una certa ignoranza, causa dello spregio provato nei confronti degli iracheni tutti, si contrappone a una visione che verte maggiormente sul rispetto per ogni popolo. Ma ciò che ci sconvolge è il fatto che tutti e tre sembrino considerare, almeno inizialmente, la guerra come un lavoro non dissimile da tanti altri. I tre torneranno a casa sani e salvi, alla pace di una tranquilla vita borghese accanto ai propri affetti. Ma non potranno godere appieno degli attimi di ritrovata felicità, perché la spensieratezza è morta assieme al ricordo del terrore vissuto sul fronte, che è entrato in loro, nel corpo e nella mente, e che mai più se ne andrà, in attesa della possibilità di essere richiamati in Medio Oriente, almeno fino a quando non scadrà il contratto che hanno firmato col la patria che dovrebbe amarli e accudirli, ma che, invece, vuole soltanto essere adorata senza condizioni. Il mistero e la complicatezza dell’animo umano, però, si rivelano quando il “conservatore” Mike ci confida che abbandonerà definitivamente la carriera militare, conscio di aver ormai contribuito alla causa del suo Paese, e che ormai sia il turno di qualcun altro di difendere la libertà e la sicurezza americane.
I racconti dal fronte sono intervallati da interviste alle mogli, madri e partner dei soldati: è, questa, un’indagine che non vuole impietosirci con facili sentimentalismi, ma che vuole, piuttosto, mostrarci la profonda dignità di chi è attende e spera. E l’attesa contraddistingue anche la vita di ogni soldato: una lunga forzata inattività, Il deserto dei Tartari dell’aspettare non si sa cosa in un eterno presente, attanagliato dal timore di (lasciarsi) uccidere, senza più una vera fondata speranza in un futuro troppo lontano per essere anche soltanto immaginato.
Da antologia del cinema la scena iniziale: una soggettiva concitata, tra Strange Days, un reportage e uno sparatutto in prima persona, di un’azione di guerra che finisce col ferimento dell’operatore e la videocamera che cade a terra, ad inquadrare il nulla: come a voler significare che il Gioco è finito e la Realtà vuol prendersi la sua rivincita.

(The War Tapes) Regia: Deborah Scranton; fotografia: Peter Ciardelli e P.H. O’Brien; montaggio: Steve James e Lesile Simmer; musica: Norman Arnold; interpreti: Zack Bazzi, Mike Moriarity, Duncan Domey, Steve Pink, Ben Flanders, Brandon Wilkins; produzione: Senari Films e Scranton/Lacy Films; distribuzione: Cinetic Media; origine: U.S.A. 2005; durata: 97’; web info: sito internazionale.


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