FESTA DEL CINEMA DI ROMA - Wu qingyuan - The Go Master

Passa in concorso un concorrente agguerrito per un prestigioso riconoscimento alla Festa. Resta da appurare se la Giuria Popolare possa condividere con Festival più blasonati un’affinità di vedute e pensiero su esperienze filmiche così distanti dalla sensibilità nostrana, tanto da aderire agli stessi gusti elitari e lasciarsi catturare dal fascino sottile che ne segna insieme la cifra stilistica e tuttavia le accomuna. Armiamoci di pazienza e stiamo a guardare.
Uno spirito simile, attento e meditabondo deve presiedere la visione dell’opera nel suo complesso, certamente non semplice da decrittare perché largamente simbolica. Un’opera che elegge a suo oggetto privilegiato l’Uomo all’interno di un contesto storico immensamente più grande di lui, tanto da ridurlo a pedina inerme e continuamente spostata dagli eventi contingenti. Nell’anno del centenario di Rossellini, questo attraente film didattico ne riprende e aggiorna la lezione e trae linfa da un Umanesimo profondo che, facendosi compartecipe delle sorti del singolo, finisce col porre sullo sfondo la moltitudine, sfocando perfino i tratti dei vari personaggi emblematici della messa in scena (dalla moglie del protagonista ai suoi diversi avversari).
L’interesse dell’autore è tutto compreso nella narrazione della vicenda personale di un uomo che ha attraversato momenti congiunturali della storia del suo Paese. Ma è dei suoi cambiamenti, dei più impercettibili spostamenti interiori del Maestro Wu che si occupa, come non paiono cogliere alcuni detrattori, scagliandosi contro le presunte lacune o imperfezioni della pellicola che abiurerebbe al suo ruolo di testimonianza storica. Non di rinuncia ci pare sia lecito parlare, ma di una scelta consapevole.
Qui si parla, innanzitutto e prima di qualunque altra considerazione, della vita di un giocatore di Go. Ma non di uno qualsiasi, bensì di un campione assoluto, tanto da rappresentare uno dei più personaggi più importanti della società. Il Maestro Wu possiede un dono e non ha dunque possibilità di scegliere - come gli si rammenta di continuo e da ogni parte - la sua destinazione. Segue dunque il suo destino fino in Giappone per dedicarsi anima e corpo - letteralmente - alla sua missione. A noi occidentali risulta per larghi tratti incomprensibile un’ottica in cui la dimensione del sacrificio assume la valenza di una missione di carattere per noi meramente liturgico.
L’opera difatti si avvalora di un tratto comune della cultura orientale, che travalica gli angusti confini dei singoli Paesi, ciascuno compreso nell’affermazione della propria specificità culturale. Lo scontro per la supremazia del vincitore sul vinto, tuttavia (pur nel rispetto profondo per l’avversario), accomuna tanto la Cina quanto il Giappone o la Corea. E’ lo stesso Zhuangzhuang Tian a rivendicarlo nel corso dell’incontro stampa.
Nella cultura orientale tutte le energie devono tendere al conseguimento di un unico obiettivo, al quale votare l’intera esistenza terrena. Per far questo ogni gesto necessita la perfezione, che deve rispecchiarsi perfino nei più piccoli rituali della vita quotidiana: neppure il complesso cerimoniale del the sfugge a questa logica.
Nel corso del film non viene mai mostrata per intero una partita di Go, ma ciò è comprensibile alla luce della constatazione che la preparazione alla sfida è ben più importante della sfida stessa. Tale logica si estende all’opera nel suo complesso.
Il film possiede un respiro ampio, da grande affresco che non è più storico, ma si fa interiore, quasi come in un’improbabile, a prima vista, sintesi tra lo stile ieratico di un Ozu e quello sontuoso di un Sokurov. E l’autore cinese Zhuangzhuang Tian non potrebbe desiderare pietre di paragone migliori dei due colleghi “di confine”.
Encomiabile l’interpretazione trattenuta e sofferta dell’elegante Chang Chen (quasi un “ultimo imperatore” bertolucciano).
Notevoli nel film sono pure la bellissima fotografia, ma più in generale la compostezza formale di un’opera che rinuncia quasi per intero ad un qualsivoglia commento sonoro, tutta concentrata com’è nel silenzio (perfino i pensieri del protagonista sono affidati alle didascalie scritte, piuttosto che alla voice over del protagonista, come avrebbe optato qualsivoglia autore occidentale) rivelatore degli infinitesimali atomi di vita vissuta del suo protagonista, come nei grandi romanzi di Tolstoj. Ma qui, a differenza che nei grandi romanzi dello scrittore russo, la storia fa solo capolino all’orizzonte. E non sta scritto da nessuna parte che ciò debba necessariamente rappresentare una macchia per una pellicola.
(Wu Qingyuan) Regia: Zhuangzhuang Tian; sceneggiatura: Cheng Ah, Jingzhi Zou; fotografia: Wang Yu; scenografie e costumi: Emi Wada; interpreti: Chang Chen (Wu Qingyuan), Hironobu Nomura, Ayumi Ito (Kazuko Nakahara), Sylvia Chang (madre di Wu), Takashi Nishina, Yi Huang, Li Xuejian, Keiko Matsuzaka, Akira Emoto, Nao Omori; produzione: Century Hero Film Investment Co Ltd.; origine: Giappone, Cina 2006; durata: 107’
