FLANDRES
Stavolta, francamente, l’operazione compiuta da Bruno Dumont, il sensibile cineasta de L’Età Inquieta, è abbastanza incomprensibile.
L’autore francese, sul quale il cinema transalpino ripone in larga misura le sue speranze presenti e future, realizza qui un "film di guerra cinefilo", dai risultati però piuttosto discutibili e molto lontani, poniamo, da un Jarhead (tanto per citare un altro film del filone bellico apparso da poco sugli schermi e altrettanto infarcito di rimandi interni al genere).
Il film di Dumont è suddivisibile, in maniera nient’affatto arbitraria, in quattro frammenti: esordio ricalcato sullo schema de Il Cacciatore, capolavoro ciminiano, con due ragazzi che partono per il fronte e una ragazza legata ad entrambi che non vorrebbe vederli partire (il momento dell’addio però riporta alla mente anche l’inizio del Nato il 4 Luglio di Oliver Stone).
La prima scena d’ambientazione bellica si rivela poi né più né meno che una copia carbone di quella dell’attacco invisibile di Full Metal Jacket, che si conclude con la sostituzione di due bambini cecchini, invece della donna del film di Kubrick. Si prosegue con il gruppo di marines che si macchia di uno stupro di gruppo ai danni di un soldato donna, episodio identico a quello del De Palma di Vittime di Guerra (fatta eccezione per il particolare che la donna è ora anche un militare).
Ritorno a casa preso di peso e trasportato di nuovo da Il Cacciatore, a cui si sommano stavolta citazioni dallo stesso cinema di Dumont (L’Humanité soprattutto, per il tipo di rapporto che unisce il protagonista maschile a quello femminile).
La perplessità si fa strada man mano nello spettatore, che riconosce naturalmente ognuno dei rimandi alla letteratura del cinema di genere, senza farsi però una ragione di tale scelta. Di cosa si tratta, in ultima analisi? Semplici omaggi ad alcuni grandi film di guerra (anche volendo far rientrare, con uno sforzo, anche quello di De Palma una pietra miliare del genere?)
La loro riproposizione infastidisce però poiché totalmente inerte e riconoscere questo significa sentire l’irritazione crescere progressivamente.
Un film completamente inutile e insieme un passo falso nella carriera di uno dei più promettenti - almeno agli esordi - autori francesi contemporanei.
Regia: Bruno Dumont; soggetto e sceneggiatura: Bruno Dumont; fotografia: Yves Cape AFC; montaggio: Guy Lecorne; musiche: Emmanuel Crozet; costumi: Cédric Grenapin, Alexandra Charles; interpreti: Adelaide Leroux (Barbe), Samuel Boidin (Demester), Henri Cretel (Blondel), Jean-Marie Bruveart (Briche); produzione: 3 B Productions; origine: Francia 2006; durata: 91’;