L’AMICO DI FAMIGLIA
Nonostante la critica francese non si sia dimostrata particolarmente entusiasta, il film di Paolo Sorrentino, suo terzo lungometraggio, è ben lontano, a mio avviso, dal deludere.
L’Amico di Famiglia è ben scritto dallo stesso regista, ben interpretato da Giacomo Rizzo, Laura Chiatti e Fabrizio Bentivoglio, e con una fotografia di Luca Bigazzi davvero notevole.
La pellicola scivola in modo lineare raccontando storie di ricchezza e povertà, di ricerca del bello in chi della bellezza è stato privato, di aspirazioni piccolo-borghesi di rivalsa nei confronti della vita. Il denaro ha nuovamente un ruolo importante, come già successo ne Le conseguenze dell’Amore (2004). Esso è il perno intorno a cui si svolge l’intera vicenda. La sua ricerca, per la realizzazione di progetti più o meno futili, presenta ogni singolo personaggio, detta i tempi della narrazione, veicolandone scelte e significati. Il mondo che ci viene raccontato è quello comune in cui diventa sempre più labile distinguere la reale vittima dal reale aggressore. È un mondo in cui i ruoli cambiano incessantemente, in cui tutto (sicurezza economica, affetti, amicizie) è soggetto al rischio del cambiamento.
I personaggi sono ben delineati, dai caratteri ricchi di sfumature. Rizzo, al suo primo ruolo cinematografico da protagonista, chiama in causa la sua esperienza teatrale per delineare i modi e i tempi della sua recitazione, omaggiando il suo personaggio di forte tensione espressiva, tipizzandolo con la sua postura e rendendolo caricaturale nella sua velata ma profonda cattiveria. Una scelta, quella di Rizzo, assolutamente felice. Come il Titta di Girolamo (interpretato da Tony Servillo), Geremia è una personalità complessa la cui stortura morale rispecchia fedelmente la mancanza di grazia fisica ma che è ben lontano dall’esaurirsi solamente nella grettezza e nell’odio. La naturale aspirazione all’amore e l’ingenuità che finisce per dimostrare lo rendono ricco di contrasti insoluti. Come i precedenti personaggi creati da Sorrentino, solo la genetica teatrale appare consona alla rappresentazione di caratteri così complessi. Funziona benissimo poi l’intesa con gli altri personaggi principali. Bentivoglio, spalla ma anche corrispettivo idealista del protagonista, alterna, nei suoi sguardi e nei suoi interventi, ironia e profonda amarezza, dando vita ad una figura che, riuscendo a stabilire un coinvolgimento empatico con gli spettatori, si salva dal giudizio e dalla grettezza del protagonista. A loro si unisce una Laura Chiatti davvero matura in un ruolo difficile che chiede repentini cambi di anima e di comportamento, alternando sensualità e cinismo.
Sorrentino prosegue nell’uso di uno stile che ricorda i suoi precedenti lavori ma per poi discostarsene in termini di complessità. Proprio questa complessità visiva è probabilmente l’unico difetto, sarebbe più giusto chiamarla incompiutezza, del film. In certi momenti, infatti, l’impressione è che ci sia un superamento ed un accantonamento della storia da parte di una regia che con troppa forza impone di mostrare la sua forza e la sua presenza. Certi inusuali movimenti di macchina e una intricata strutturazione dell’inquadratura finiscono sì per conferire al film fascino, ma anche eccessiva prolissità, perdendo saltuariamente la compattezza e l’omogeneità del racconto.
Ma il film, nonostante questo, colpisce e conferma il talento di Paolo Sorrentino che, non appena avrà piena consapevolezza delle sue doti di scrittura e di regia, non avrà difficoltà ad adottare soluzioni di messa in scena in grado di garantire maggiore equilibrio e ritmo.
Regia, soggetto, sceneggiatura: Paolo Sorrentino; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Giogiò Franchini; scenografia: Lino Fiorito; costumi: Ortensia de Francesco; interpreti: Giacomo Rizzo (Geremia), Fabrizio Bentivoglio (Gino), Laura Chiatti (Rosalba); produzione: Fandango, Indigo Film, Babe Film, Medusa Film, Sky; distribuzione: Medusa; origine: Ita 2006; durata: 110’;