RED ROAD
Andrea Arnold, al suo primo lungometraggio, presenta un film, portato in concorso alla scorsa edizione del Festival di Cannes, che lascia abbastanza interdetti. Il suo Red Road, storia di una donna che cerca di placare la sua anima ed il suo dolore dopo la morte accidentale del marito e della figlia, investiti da un guidatore ubriaco, inseguendo la vendetta nei confronti del responsabile, condannato a dieci anni ma uscito prima di prigione per buna condotta, ricorda da vicino 21 Grammi (2003) di Alejandro Gonzalez Inarritu, pur discostandosene per peso e valore.
Il film, infatti, gode di una buona regia, di un uso della macchina da presa mai banale ma non possiede il dono della sintesi. Probabilmente, un taglio nel minutaggio, soprattutto nella prima parte, avrebbe agevolato lo scorrere della pellicola rendendo meno evidenti certe pause e ripetizioni che finiscono per incidere nel giudizio complessivo. Il ritmo, infatti, soffre eccessivamente di dilazioni prive di una effettiva giustificazione. L’innalzamento che si ha nella seconda metà rimedia solo in parte ad una introduzione che, proprio per il suo protrarsi troppo oltre, non permette di entrare immediatamente nella storia, lasciando chi guarda in una stasi narrativa, del tutto evidente, per circa cinquanta minuti. È questo un errore in parte mitigato dalla considerazione che la regista si cimenta per la prima volta con un film di tale durata, avendo girato in passato solo cortometraggi, e, come detto, da alcuni spunti che offrono una parte finale abbastanza interessante. Oltre la velocità della narrazione, che trova la sua naturale cadenza, è una macchina da presa attenta e consapevole a guidare l’epilogo del film verso uno sviluppo che, anche se prevedibile, non è così difficile apprezzare. La tensione in costante aumento, una rappresentazione sufficientemente curata degli stati d’animo e delle sensazioni dei protagonisti, una vena abbastanza cinica adatta a cogliere il degrado ed i colori della periferia sono sicuramente note di merito.
Buona l’interpretazione di Kate Dickie (Jackie) e Tony Curran (Clyde). I due riescono ad interagire in modo proficuo ed a costruire un rapporto, caratterizzato da una continua dialettica tra desiderio di vendetta e bisogno di perdono, la cui esasperazione dei toni è costantemente avvertibile nelle scene che li vedono duettare.
Un esordio più luci che ombre per la quarantacinquenne regista inglese, specie se riuscirà ad abbandonare la tendenza ad una eccessiva prolissità per puntare su un tipo di narrazione e di messa in scena più violenta che, tra le altre cose, sembra pienamente nelle sue corde come si evince dall’ultima parte del suo film.
(Id.) Regia: Andrea Arnold; soggetto: Lone Scherfig , Anders Thomas Jensen; sceneggiatura: Andrea Arnold; fotografia: Robbie Ryan; montaggio: Andrea Nicholas Chaudeurge; scenografia: Helen Scott; costumi: Carole K. Millar; interpreti: Andrew Armour (Alfred), Kate Dickie (Jackie), Tony Curran (Clyde); produzione: Sigma Films, Zentropa Entertainments; origine: GB; durata: 113’