Gli equilibristi
Giulio ha quarant’anni e un’esistenza tranquilla: una casa in affitto, un posto fisso da dipendente al Comune di Roma, un’auto acquistata a rate, una bella moglie che lavora part time, una figlia adolescente che suona in un gruppo rock ed un figlio biondo e dolcissimo. Un equilibrio che viene rotto da una banale scappatella di Giulio con una sua collega: la famiglia si sfalda, moglie e marito parlano poco e tra loro cresce una palpabile tensione. E’ così che Giulio, “uomo medio” per eccellenza, è costretto a lasciare casa, scoprendo l’esiguo margine che può fornirgli il suo stipendio. Pagare due affitti, due bollette, mangiare spesso in trattoria ed occuparsi delle spese dei figli: spese che diventano presto per Giulio completamente insostenibili. L’uomo cerca nuovi lavori, si fa prestare denaro che però non basta mai. Eccolo dunque alla fine in fila alla mensa Caritas, con l’auto parcheggiata sotto la Tangenziale Est, ormai l’unico alloggio che può permettersi. E sempre in silenzio, perché Giulio non vuole far preoccupare nessuno, non vuole turbare i suoi figli e la moglie che forse in fondo ancora ama.
Ivano De Matteo scatta un’istantanea lucida di un momento storico disperante. Film asciutto, misurato, lontano da sentimenti ricattatori e quasi scevro da moralismi, Gli equilibristi lascia il segno per l’interpretazione di Valerio Mastrandrea, perfetto nel suo vagare smarrito in una Roma estranea e indolente. Echi di Umberto D, di tanto cinema neorealista, salvo che a De Matteo manca forse la lucidità di fermarsi al momento opportuno, di non far scivolare ancora più in “basso” il suo protagonista. La storia negli ultimi minuti sembra dimostrare invece che mostrare, segue pedissequamente un percorso drammatico delineato forse troppo presto e mai abbandonato nel corso del film. Ne guadagna chiaramente il personaggio di Giulio, dotato di una profondità inusitata, progressivamente smarrito nella sua discesa agli inferi. Tutto il contesto non fa altro che amplificare la sua disperazione. Su tutto una Roma anonima, scarsamente caratterizzata. Strade che potrebbero appartenere a qualunque città, tanto è “globale” il disagio mostrato dal film. De Matteo coglie con precisione il terrore del ceto medio di cadere nella povertà "vera", in una miseria che riflette anche un deserto sociale preoccupante. Sta a noi mettere un freno a questo caos e ritrovare, come suggerisce il film, nella solidarietà umana le basi per una nuova convivenza civile, adatta ai tempi di crisi che stiamo vivendo.
Regia: Ivano De Matteo. Sceneggiatura: Valentina Ferlan, Ivano De Matteo. Fotografia: Vittorio Omodei Zorini. Montaggio: Marco Spoletini. Musiche: Francesco Cerasi. Costumi: Valentina Taviani. Scenografia: Massimiliano Sturiale. Prodotto da Marco Poccioni e Marco Valsania, in collaborazione con Rai Cinema. Distribuzione: Medusa. Italia: 2012. Durata: 100’.