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I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN - PERCHE’ NO

Pubblicato il 20 gennaio 2006 da Salvatore Salviano Miceli


I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN - PERCHE' NO

Non era difficile prevedere, almeno a nostro avviso, la vittoria del Leone D’Oro, all’ultima edizione del Festival di Venezia, per il film di Ang Lee. Ora che la pellicola ha fatto incetta di premi anche nei recentissimi Golden Globe, sembrerebbe ancora più facile presagire il suo trionfo alla, ormai prossima, notte degli Oscar. Tutto questo, unito alle numerose critiche positive, porta facilmente a pensare che ci troviamo davanti ad una delle migliori pellicole dell’attuale stagione cinematografica. In realtà è lecito avanzare più di un dubbio.
È certamente da lodare la prova degli attori, soprattutto dei due protagonisti, Heath Ledger e Jake Gyllenhaal, abili nell’interiorizzare e, successivamente, nella rappresentazione della scoperta di una nuova sessualità, con tutti i timori e le insicurezze che ciò può comportare, e di una ciclica rinuncia alla propria identità ed a una felicità che, ammesso che possa esistere, si basi su una reale pienezza e non solo su momentanee esternazioni.
Il motivo, però, per cui non risultava azzardato scommettere sulla felice riuscita del film è insito nella scelta del tema da affrontare. La rappresentazione dell’amore e della passione che lega i due personaggi principali, infatti, nata dall’esplicitarsi della loro omosessualità, in un genere come quello western, è, di per sé, opera di analisi e, ancor più, di decostruzione del genere stesso. Ma è proprio qui che risiede l’errore di fondo. La pellicola diviene, infatti, portabandiera di un buonismo, da intendere nella sua sola accezione negativa, che pare voglia convincere ed emozionare attraverso la manipolazione di un rapporto omosessuale, che però in sé non dovrebbe rappresentare nulla di eccezionale, dal momento che in una società che pretende di considerarsi civile ed egualitaria non è certo la tendenza sessuale a qualificare un essere umano. È, dunque, la trama stessa e l’astuzia dell a scelta tematica a celare carenze strutturali e tecniche che, probabilmente, sarebbero state evidenziate senza troppo sforzo se il film non fosse stato identificato, abbastanza semplicisticamente in alcuni casi, come portatore di una ventata rivoluzionaria di cui la coppia protagonista è simbolo e manifestazione.
A partire dalla sceneggiatura, infatti, il film risulta troppo debole, privo di appigli semantici e stilistici. Sebbene i personaggi siano ben delineati, la storia che ci viene raccontata conduce più verso un lascivo patetismo che non verso un reale coinvolgimento empatico. La trasformazione in immagini di un sentimento forte come quello che lega “i due cowboy” si muove su binari privi di picchi emotivi ma, al contrario, seguendo un ritmo che, pur non rappresentando un’onta per la sua staticità, è troppo poco supportato da una impalcatura adatta a combattere una noia che pare generarsi con troppa leggerezza. Ma Ang Lee è maestro nel muoversi lungo rette cronologiche prive di impennate, ricorrendo ad un uso della fotografia che, è giusto riconoscerlo, conduce, in determinati istanti, verso un’estasi naturalistica che deflagra nella maestosità e nella prorompente forza delle montagne che fanno da culla alla vicenda narrata.
Ciò, però, è davvero poca cosa rispetto ai 134’ minuti, della versione originale, in cui gli spettatori sono costretti ad assistere ad un continuo quanto estenuante ripetersi di situazioni ed eventi che stentano a portare con sé i germi della contaminazione dell’esistenza. Si ha, infatti, la piena consapevolezza di assistere ad una rappresentazione che lascia in ombra la vita reale per cercare, invano, il raggiungimento di un lirismo a cui non basta la spettacolarità della natura, citata prima, per manifestarsi. Si avverte, forte, inoltre, l’assenza di scelte coraggiose da parte di Lee, la cui impronta ed il cui segno registico rimangono ben lontano dall’affermarsi con una qualche prepotenza. Riflettendo, poi, su quanto spesso si abbia bisogno di operare scelte incisive e coraggiose per potere davvero assaporare la coscienza del proprio esistere, così il cinema, nella sua natura di arte, deve mostrare coraggio anche attraverso una violenza espressiva ed un cinismo semantico di cui in questo caso, pur sentendone la necessità, non se ne ha traccia.
La ricerca ed il successivo accantonamento di una realizzazione, personale e sociale, davvero piena e soddisfacente rende Brokeback Mountain un film in cui sono i sogni, a cui sono leste a succedere le illusioni ed infine i rimpianti, ad essere i reali motori dell’azione. Ed il rimpianto si avverte forte nell’assistere alla proiezione di una pellicola che avrebbe potuto rappresentare un’operazione quantomai interessante, letta sia in chiave di rielaborazione di un genere, come detto, ma ancora di più in termini sociali. Ma qui, si fa forte e perentorio il dubbio che la scelta di mostrare due cowboy omosessuali sia legata soprattutto ad una motivazione commerciale e di ritorno pubblicitario ancora prima che ad una maturazione stilistica che, infatti, non risulta sufficientemente cosciente. Ed è quantomeno scoraggiante che un film che, a mio avviso, non mostra particolari segni di unicità e di originalità, ma che, al contrario, viene risucchiato spesso nel vortice di una pressante e fastidiosa retorica abbia suscitato clamori e consensi talmente ampi.
È, probabilmente, l’immagine speculare di un tempo, il nostro, in cui è preferibile commuoversi per una storia che, pur priva di una forte valenza estetica ed emotiva, sembra abbia solo nella banale commozione il suo obiettivo primario, piuttosto che rendersi conto della componente reazionaria, che ancora oggi, davanti all’omosessualità, conduce allo scandalo, e le cui metastasi si librano nell’anima di questo film.

I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN - PERCHE’ SI


CAST & CREDITS

(Brokeback Mountain); regia: Ang Lee; soggetto: E. Annie Proux; sceneggiatura: Larry McMurtry, Diana Ossana; fotografia: Rodrigo Prieto; montaggio: Geraldine Peroni, Dylan Tichenor; musica: Gustavo Santaolalla; scenografia: Judy Becker; costumi: Marit Allen; interpreti: Heath Ledger (Ennis Del Mar), Jake Gyllenhaall (Jack Twist), Michelle Williams (Alma Beers Del Mar), Anne Hathaway (Lureen Twist); produzione: Focus Features, River Road Entertainment, Good Machine, Paramount Pictures, Alberta Filmworks inc; distribuzione: BIM; origine: USA; durata: 134’; web info: Sito ufficiale


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