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Il paradiso degli orchi

Pubblicato il 14 novembre 2013 da Nicola Lazzerotti

VOTO:

Il paradiso degli orchi

All’uscita del trailer ufficiale del film, al suo debutto pubblico, una sensazione di ancestrale paura colse gran parte dei lettori più devoti de Il paradiso degli orchi (Au bonheur des ogres), il classico terrore che coglie ogni purista del testo amato, che si è fatto un’idea precisa del romanzo, da cui con grande difficoltà sa separarsi. Ma è qui che forse, per una volta, il lettore più tenace non si sentirà tradito. Il grande pregio di questo film è in fatti quello di aver colto a pieno lo spirito del romanzo senza tradirlo. A consolidare questo pensiero lo stesso Pennac (presente alla conferenza stampa), che ha mostrato apprezzamento per il bel lavoro di Bary.
A rubare l’occhio è la messa in scena in cui, con estrema semplicità e assoluta concordanza, il regista riesce a rendere credibile ed emozionante le due anime del film, da una parte l’ambiente, ma sarebbe più corretto chiamarlo l’universo, del centro commerciale. Un luogo “ordinato”, diviso rigidamente in spazzi omogenei. Il luogo dove un occhio onnipresente scruta rigidamente ogni ambiente, spiando ogni astante, e dove ogni stortura, ogni frizione a questa costruzione perfetta viene rilevata ed eliminata. Non banale la metafora delle taccheggiatrici, simbolo autentico di quel cortocircuito che rompe la relazione funzionale del sistema della compravendita e del libero mercato vigente nel centro commerciale. Ogni furto però viene scoperto, ogni ladro identificato e ogni tassello torna immancabilmente al suo posto.
In antitesi a tutto questo il protagonista Malaussène (Raphaël Personnaz), personificazione di un ruolo sociale necessario: essere il capro espiatorio significa rendere possibile a questo universo impersonale del grande centro commerciale di coniugarsi con le vite dei consumatori, della gente comune. Egli è il mezzo attraverso il quale questo luogo in realtà imperfetto, viene percepito perfetto. Ma l’universo di Malaussène non termina col protagonista, a lui si unisce la sua famiglia, un nutrito gruppo di fratelli e sorelle tenuti insieme dallo stesso che si prende cura di loro.
Questo momento del film, perfettamente aderente al romanzo e in completa opposizione alla dimensione severa del grande magazzino, è permeato da uno squisito spirito anarchico che guida i personaggi e li sostiene. La loro libertà e la loro grazia sono la migliore espressione di quel pensiero umano che si fa affetto profondo e dolcezza di modi. Ed è di questa dicotomia che si nutre il testo, filmico e narrativo, che fin dal titolo mette in relazione queste due antinomie. Gli orchi sono gli tutti esseri che tiranneggiano e rubano l’innocenza lo comprende oggi il regista come lo intuì all’epoca Pennac, da questo inizia la storia.


CAST & CREDITS

(Au bonheur des ogres); Regia: Nicolas Bary; sceneggiatura: Nicolas Bary, Jérôme Fansten, Serge Frydman e Daniel Pennac (non accreditato); fotografia: Patrick Duroux; montaggio: Véronique Lange; musica: Rolfe Kent; interpreti: Raphaël Personnaz (Benjamin Malaussène), Bérénice Bejo (Zia Julia), Emir Kusturica (Stojil), Mélanie Bernier (Louna); produzione: Chapter 2, Canal+, Ciné+; distribuzione: Koch Media; origine: Francia, 2013; durata: 93’


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