INCANTO ROSSO FUOCO - Scarpette Rosse
"Le scarpette rosse non sono mai stanche. La fanno danzare per le vie, per monti e valli, per campi e foreste, la notte e il giorno. Il tempo fugge. L’amore fugge. Anche la vita fugge. Ma le scarpette rosse danzano ancora."
C’era una volta un’orfana, che nutriva un’ossessione bramosa per un paio di scarpette rosse, donatele quand’era bambina. Dopo un’infanzia vissuta nella povertà, la ragazza viene adottata da una ricca e anziana signora e, crescendo, diventa una donna bella ed elegante al pari di un cigno. Con il passare degli anni, ella non riesce più a fare a meno di calzare quelle scarpe; finché i suoi passi, svelti e forsennati, la conducono sul sentiero della rovina. La fiaba danese Le Scarpette Rosse – firmata dal poeta e scrittore Hans Christian Andersen e pubblicata, per la prima volta, nel 1845 – fu la principale fonte d’ispirazione per il classico di Michael Powell ( Scala al Paradiso ) ed Emeric Pressburger ( I Racconti di Hoffmann ) intitolato Scarpette Rosse e datato 1948. Presentato alla Mostra di Venezia, il film fu scritto dai due stessi registi – con la collaborazione, per alcuni dialoghi, dello sceneggiatore Keith Winter ( Al di Sopra di Ogni Sospetto ) – e vinse 2 Oscar – per la scenografia e la colonna sonora. Prodotto interamente nel Regno Unito, Scarpette Rosse resta tuttora – a 72 anni dall’uscita in sala – uno dei capisaldi della filmografia dedicata all’arte, alla danza e al balletto e la sua autorevolezza è stata riconosciuta anche dal British Film Institute; che, nella stagione a cavallo tra il 1999 e il 2000, lo ha inserito al 9° posto nella classifica dei 100 Migliori Film Britannici di tutti i tempi. Persino un Maestro del cinema come Martin Scorsese ( Taxi Driver ) non ne rimase indifferente. L’autore statunitense – vincitore di 1 Oscar per la regia di The Departed – Il Bene e il Male – ha, infatti, inserito la pellicola nella personale Top 10 di titoli preferiti di sempre e insieme alla sua montatrice abituale, Thelma Schoonmaker ( Toro Scatenato ) – moglie dello stesso Powell, nondimeno – ne ha realizzato la versione restaurata; proiettandola al Festival di Cannes 2009. Sempre Scorsese lo ha, inoltre, definito “uno dei migliori film in Technicolor mai realizzati”. La ballerina emergente Victoria Page viene ingaggiata come étoile dalla compagnia di danza di Boris Lermontov; che decide di offrirle il ruolo da protagonista per la nuova produzione, Scarpette Rosse, e diventa, consecutivamente, il suo protettore. A realizzare le musiche dello spettacolo, è il compositore Julian Craster; un musicista ancora studente, che si è visto sottrarre dal professore d’accademia alcune partiture del balletto Cuore di Fuoco – anch’esso prodotto da Lermontov. Vicky è, da subito, affascinata dal ragazzo e instaura con lui un immediato rapporto di complicità. Tuttavia, l’impresario disapprova tale distrazione e la spinge a dedicarsi solo e unicamente alla dote sprigionatasi dalle sue gambe. Che si parli di realtà o di fantasia, la perfezione è sempre stato l’atavico cruccio di ogni artista. E mentre nel testo di Andersen il tema chiave – metafora dietro la storia – era la vanità; nel plot del film, il leitmotiv è rappresentato dal sacrificio da compiere per raggiungere l’apice, la vetta, lo Shangri-La del talento innato.
"Lei come definirebbe il ballo?" "La poesia del movimento." "Per me è molto più di questo. Per me, è un vero culto."
Scarpette Rosse pone un amletico dilemma, che l’eroina danzante subisce in prima persona; immaginandosi come un "fiore", una "nuvola", capace di "volare", in "guerra con il pubblico". Cosa accade quando gli obiettivi e i successi artistici si sovrappongono alle gioie private e sentimentali? È necessario rinunciare agli uni per le altre o viceversa? È possibile conciliarli in una sola vita? Ci sono ottime probabilità che, negli anni a venire, registi e autori abbiano guardato indietro e scelto questa pietra miliare – classificata come un Grande film anche dal critico statunitense Roger Ebert ( Lungo la Valle delle Bambole ) – per riproporre tale concetto o struttura narrativa in ulteriori pellicole di altrettanto pregio. Basti pensare a Gene Kelly ( Cantando Sotto la Pioggia ), che la amò talmente tanto al punto da persuadere la Metro-Goldwyn-Mayer a mettere in cantiere Un Americano a Parigi – da egli interpretato e similare, per contenuti e forme, al prodotto di Powell e Pressburger. Oppure a Darren Aronofsky ( L’Albero della Vita – The Fountain ) – ne Il Cigno Nero , aveva tratto spunto da Il Lago dei Cigni e adoperava l’egual tormento di una ballerina per il proprio trionfo professionale, raffigurandolo attraverso un incubo sul topos del doppio – o, avvicinandoci di più al presente, a Damien Chazelle ( Whiplash ) – l’arte e la musica, in particolare, sono centrali nel suo portfolio e in La La Land vi hanno ottenuto una totale sublimazione; tra love story, musical e impossibilità di scegliere tra una carriera da celebrità e l’amore della vita. Parlando di riferimenti letterari a cui, invece, hanno fatto ricorso i due cineasti, saltano all’occhio Romeo e Giulietta – citato, esplicitamente, in un dialogo – e, soprattutto, Anna Karenina . Il romanzo di Lev Tolstoj viene omaggiato sia per una sorta di ménage à trois tra Victoria, Julian e Boris; ma anche per la presenza simbolica – in scene alquanto rilevanti – di stazioni e treni di passaggio. Curiosamente – ma, forse, non del tutto – l’adattamento cinematografico d’impronta teatrale del capolavoro dello scrittore russo – firmato da Joe Wright ( Orgoglio e Pregiudizio ) – si riaggancia, a sua volta, al film britannico osannato, da più di mezzo secolo, da cinefili ed esperti. L’approccio agli ambienti che la scenografa Sarah Greenwood ( Espiazione ) e lo sceneggiatore Tom Stoppard ( Shakespeare in Love ) avevano scelto per quell’anticonvenzionale trasposizione, ricorda da vicino lo stile per il quale optò, al tempo, lo scenografo di Scarpette Rosse, Hein Heckroth ( Il Sipario Strappato ): non solo per questioni prettamente figurative; ma, in primo luogo, per il modo in cui il palcoscenico era stato sfruttato in termini di scrittura e si era, di conseguenza, trasformato in una dimensione reale (o irreale) complementare.
"Perché vuole ballare?" "Lei perché vuole vivere?" "Neanch’io so perché, ma… Lo devo." “E’ anche la mia risposta.”
Sin dai crediti iniziali, Scarpette Rosse mostra quanto la componente visuale sia una delle punte di diamante in grado di risaltarlo, ancora oggi, in epoca odierna. La sua natura – sotto questo aspetto – si potrebbe decifrare in una visione alquanto espressionista. Heckroth era, difatti, un pittore e il contributo al film fu la sua prima esperienza nel settore cinematografico. Gli stupefacenti scenari che realizzò comprendono anche più di 120 dipinti – allestiti da fondali, davanti cui furono posizionati e ripresi gli attori – e, nel voler trasmettere l’atmosfera e le sensazioni suggerite dai set, egli creò, persino, un animatic o, più semplicemente, story reel – una serie di storyboard montati in sequenza. Alla medesima maniera, il direttore della fotografia Jack Cardiff ( Figli e Amanti ) – vincitore di 1 Oscar, per Narciso Nero – fece un utilizzo mirabolante delle luci e dei colori, con il risultato di una fantasia ammaliante e memorabile che giunse alla massima espressione nel segmento onirico e sognante di ben 15 minuti del balletto Scarpette Rosse. La camera elimina dall’inquadratura il palcoscenico e dà, allo spettatore, la sensazione di assistere – come e più che a teatro – a un film nel film, a una storia nella storia. Le scarpette sono un amuleto in grado di possedere il corpo della protagonista; che – al pari di un burattino senza fili e in carne ed ossa – danza e danza incessantemente, senza potersi fermare; anche nel momento in cui vorrebbe. Una psichedelia di immagini surreali e, a tratti, surrealiste; nella quale le forme d’arte si fondono, improvvisamente: pittura, musica, danza, teatro e… Cinema. La memorabile colonna sonora di Brian Easdale ( La Volpe ) e il montaggio serrato di Reginald Mills ( Romeo e Giulietta ) hanno un peso enorme, da questo punto di vista. La sceneggiatura, parimente, continua a giocare con i livelli narrativi. La finzione si confonde con la realtà: Victoria confonde sé stessa con il personaggio che veste da capo a punte di piedi, ci si immerge fino a perdercisi e, per qualche secondo, il suo sguardo non riesce a comprendere se colui che le dona le scarpette sia il ciabattino del copione, il collega ballerino che lo interpreta, Julian o Boris.
"L’artista che dipende dalle incerte gioie dell’amore non sarà mai una grande artista. Mai."
Scarpette Rosse è anche un compendio che raccoglie i più famosi balletti della storia della danza: Il Lago dei Cigni , Giselle , Coppelia e altri ancora. Victoria li balla tutti; volteggiando, da un abito un altro, da un paio di scarpette a un altro. La ballerina e attrice scozzese Moira Shearer ( L’Occhio che Uccide ) la interpreta magistralmente e tale ruolo le regala il debutto dietro la macchina da presa. La forma fisica da danseuse – in grado di darle, già, credibilità – unita ad un’espressività notevole – messa, spesso, in risalto da iconici primi piani – la rende perfetta a trasmettere le palpabili vibrazioni di un cuore di fuoco che brucia – diviso tra due amori apparentemente inconciliabili. Anton Walbrook ( Gli Invasori ) infonde un seducente carisma al pigmalione di Vicky, Boris Lermontov – i cui lati oscuri non tardano a venire alla luce – e Maurius Goring ( La Contessa Scalza ) impersona appieno il prototipo di giovane e talentuoso artista che deve sottostare alle leggi dell’ambiente dello spettacolo e si strugge, con equivalente passione, per una donna che gli infuoca il cuore. Lo script abbozza anche un subplot che analizza i meccanismi che scattano nel pubblico nell’atto di assistere ad uno spettacolo teatrale – alcune persone battibeccano prima dell’inizio; un uomo si addormenta in poltrona, poco dopo l’apertura del sipario – e studia le dinamiche attuate da chi scopre una nuova musa e da un nuovo prodigio che viene scoperto – Lermontov si dimostra scettico rispetto a segnalazioni o raccomandazioni; Julian fa fatica ad accettare di essere stato derubato da un suo stesso insegnante. Senza contare le relazioni tra coloro che abitano il palco e la scarsa considerazione per maestranze, che lavorano, invisibili, nel retrobottega – ballerini eccentrici e competitivi, sarte parafrasate come “mamme che non contano nulla”, lo scenografo e costumista costretto ad attenersi ai continui cambiamenti dettati dal regista.
"Voglio creare, Miss Page. Fare di lei una grande danzatrice. Ma prima, devo chiederle ancora: che cosa chiede alla vita? Di vivere?" "Di ballare." "Il dolore passerà. La vita è senza importanza. E da ora in poi, lei ballerà. Come nessun’altra prima."
Il terzo atto di Scarpette Rosse si muove più velocemente, con il medesimo ritmo incalzante dei passi della protagonista; che incede, in un’escalation di emozioni. Il conflitto interiore di Victoria arriva al culmine, in un realismo magico che torna a mescolare, nuovamente, la fiaba soprannaturale con la realtà concreta. Specchi che riflettono l’immagine di Vicky. Sottofondo musicale di aria lirica. Le scarpette rosso fuoco si rivelano in tutto il loro potere – simbolo leggendario di una forma d’arte e di un culto immortale, capace di superare ogni concezione o confine temporale, capaci di camminare e danzare oltre la vita stessa. La rapsodia immaginifica e romantica di un melodramma monumentale, malinconico e, anch’esso, senza tempo. Un carillon che suona una melodia in grado di far cadere sotto un incanto dal quale non ci si può risvegliare.