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Intervista a Elvira Frosini

Pubblicato il 6 ottobre 2008 da Luigi Coluccio


Intervista a Elvira Frosini

Molti mesi son passati da quando, nel raccolto ed accogliente Kataklisma Teatro, una perfetta equazione artistica è stata per la prima volta, faticosamente, lentamente, creata: lì, riparati nell’immacolata circonferenza di un uovo-critico emblema di questa nuova nascita, artisti, pubblico e critica si sono incontranti per uno scambio osmotico di teorie, impressions, dubbi. Gli otto appuntamenti che hanno visto avvicinarsi, anche prossemicamente, la triade artista-spettatore-critico, tracciarono le tante facce da cui è possibile osservare, rifratto, il sistema-teatro contemporaneo: dalla danza di MAddAI alla nota, e storica, firma Nico Garrone, passando per il camaleontico Roberto Corradino, il giovane Lorenzo Donati o il buto di Alessandra Cristiani -solo per citare alcuni dei protagonisti "conosciuti" di questa bella e necessaria cavalcata: degli innumerevoli, indagatori, spettatori, ahimé, non conosciamo le altrettanto importanti generalità...
Siam tornati, dunque, qualche mese dopo i fatti di Uovo Critico, sul luogo dell’insanabile delitto: ad attenderci, la direttrice artistica dell’evento, nonché regista ed interprete della compagnia di casa Kataklisma, Elvira Frosini -ricordiamo gli spettacoli Buffet (2007), Time (2008) e ’Nacosaprovvisoria (2008); durante questo lungo ed interessante dialogo, sono intervenute anche Laura Neri -responsabile organizzativo e della progettazione di Uovo Critico, nonché ufficio stampa della stessa rassegna e di Kataklisma- ed Isabella Di Cola -performer interprete di alcuni lavori di Kataklisma, collabora alla direzione artistica del festival Rifrazioni -Nuovi Linguaggi in Spazi Storici ed è associata al collettivo artistico Leibniz di stanza a Londra.

Prima di Uovo critico c’era dell’altro. C’era una cosa chiamata Uovo.spazioperformance. Quali erano state le urgenze, le idee, che ti avevano spinto a creare quella serie di eventi nemmeno così lontani nel tempo?

Elvira Frosini: L’urgenza era principalmente una: riuscire a comunicare tra noi artisti –e farlo anche con il pubblico. C’era l’esigenza di uscire da questo isolamento che percepivamo, che percepivano tutte le compagnie. Uscire dal proprio guscio anche semplicemente per conoscersi: conoscere i linguaggi degli altri, le ricerche degli altri, scambiarsi idee e, naturalmente, aprire tutto questo al pubblico. Creare uno spazio senza barriere, informale, in cui gli spettatori potevano confortarsi con l’artista senza le protezioni che normalmente hanno durante la visione di uno spettacolo. Ad Uovo.spazioperformance il pubblico interrogava, chiacchierava con le compagnie, e l’artista poteva testare lo studio, la prova presentati, attraverso il feedback che gli arrivava.

Oggi invece abbiamo Uovo critico. Si tratta di una spontanea, naturale, evoluzione, di tematiche e necessità presenti in nuce nel precedente Uovo.spazioperformance, o di un difficile adattamento teorico ed artistico all’attuale, problematica, condizione in cui versa il teatro italiano?

E.F. C’era già in nuce ad Uovo.spazioperformance l’idea di apertura. Però l’attuale evoluzione non è stata così spontanea. Vista la situazione in cui versa il teatro, e visto che forse quest’isolamento si sta abbattendo –nascono delle idee di “rete”, è maggiore la comunicazione tra le compagnie-, si è manifestata questa forte necessità di ri-dialogare con la critica. Il rapporto tra critici ed artisti è in questo momento abbastanza statico, spento. Non c’è un confronto ma una relazione formalizzata, stereotipata. L’obiettivo è arrivare a ri-colloquiare con chi dovrebbe decodificare, interpretare, fare da ponte per il pubblico.

La collisione di queste tre incognite ha determinato, ogni sera, un evento del tutto singolare, a sé stante, rispetto agli altri appuntamenti. Alcune volte era possibile vedere, letteralmente sdraiati a terra, critici ed artisti che rispondono ai nomi di Mariateresa Surianello, Marcantonio Lucidi, Daniele Timpano, Valentina Valentini, Andrea Cosentino, Graziano Graziani... E, naturalmente, il “fattore K”, cioè il pubblico. Tutto ciò ha fatto si che emergessero delle particolarità irriproducibili da evento ad evento. E penso che questo sia stato uno dei risultati più interessanti raggiunti dalla manifestazione.

E.F. Proprio questa peculiarità, questa diversità di serata in serata, è stata la testimonianza di una ricchezza che c’è, che in fondo esiste. Se fossero state tutte simili tra loro, se il percorso per ognuna di esse sarebbe stato identico, il risultato non avrebbe potuto che essere deludente: avrebbe significato l’omologazione di tutto e tutti –lavori ed identità delle compagnie, analisi dei critici, atteggiamento da parte del pubblico. E invece si è verificato qualcosa di diverso da appuntamento ad appuntamento. Fondamentalmente, io credo, grazie al critico presente alla serata –era lui, in fondo, che dava l’impronta. Ognuno, infatti, ha impostato il suo incontro in modo differente. L’impressione finale è che si siano iniziati tanti discorsi necessari -il riappropriarsi di un linguaggio non-artistico comune, come rapportarsi con il pubblico...

Laura Neri: Riguardo il successo di ogni serata –e cioè cosa sia successo- è stato fondamentale il codice creato da ogni abbinamento. Ogni critico ha costruito il proprio codice di comunicazione con il relativo artista o compagnia attraverso vari momenti –tra cui le interviste realizzate per Podoff. Le serate al Kataklisma Teatro erano il frutto di tutto ciò. Frutto che si è potuto cogliere solo grazie alla volontà di incontrarsi che ogni critico ed ogni artista hanno manifestato.

La creazione del codice di cui parlate è il risultato degli abbinamenti da voi decisi –e poi magari ci spiegate anche come sono avvenuti- oppure è il percorso finale di un seguire, di un conoscere, di un interrogare l’artista da parte del critico operato ancor prima di Uovo critico?

E.F. Nel caso in cui il critico e la compagnia avevano già avviato un rapporto di conoscenza reciproca, quasi di auto-conoscenza, è chiaro che il codice era già stato “creato” –per cui anche verso il pubblico si aveva una situazione già testata. In altri casi invece tutto è nato ad Uovo critico –ad esempio il rapporto tra Teatro Sotterraneo e Marcantonio Lucidi o quello tra Nico Garrone e noi di Kataklisma- attraverso le interviste, i colloqui, l’assistere alle prove. Alla fine quello che si è avuto non è stata solo una lettura dello studio o prova presentati, ma soprattutto un domandarsi. E il pubblico in quel momento rispondeva, entrava dentro il meccanismo. Pubblico che era composto anche da artisti che si sentivano chiamati in causa, che tentavano di riflettere e magari anche rispondere.

L.N. E anche quando critico e compagnia si conoscevano già da prima, magari non avevano mai avuto un momento dialogico.

E.F. E’ stata una scoperta anche per i critici. Per la prima volta potevano, ad esempio, entrare dentro il meccanismo di creazione artistica attraverso un chiaro domandare a cui ottenevano subito risposta.

Questa singolarità di eventi, questo franco dialogo tra critici, artisti e pubblico, questo crearsi quasi a priori delle domande, non sembra confermare quanto detto da Antonio Audino in una delle serate di Uovo critico, e cioè che <<Roma è ricca di segna teatrali>>? A dispetto di come possano pensarla le istituzioni.

L.N. Proprio riguardo ciò vogliamo dire che è stato un problema individuare alcune esperienze romane rispetto ad altre. Non si voleva fare assolutamente una graduatoria ma solo una cernita legata ad evidenti motivi organizzativi. Le compagnie sono tante ed ognuna contrassegnata da una sua spiccata peculiarità.

E.F. Ci sono tanti gruppi, accadono tante cose. L’importante è che tutto ciò sia balzato anche alla nostra attenzione, per farci rendere pienamente consapevoli di dove siamo.

L.N. Paradigmatica dell’attuale situazione teatrale è l’esclusione della danza da tanti circuiti. Per questo abbiamo voluto che due degli otto appuntamenti fossero proprio sulla danza –per marcare ancor di più questa ricchezza di segni teatrali.

E confermando un’attitudine del precedente Uovo.spazioperformance.

E.F. Si, ad esempio MAddAI era presente proprio ad Uovo.spazioperformance. E la parabola di Simona Lobefaro all’intero di queste due manifestazioni né rappresenta quasi lo spirito. Lei era arrivata ad Uovo.spazioperformance con una fortissima intenzione di mettere a frutto quella esperienza ricevendo un feedback da parte degli spettatori: ha perfino distribuito dei questionari al pubblico! E gli spunti e le risposte che gli sono arrivati presentando uno studio di Acerbo sono stati poi utilissimi per andare avanti con quel lavoro.

Al di là delle differenze strutturali dei vari incontri, una delle direttrici cartesiane emerse in modo quasi “compulsivo” durante tutto Uovo critico è stata la difficoltà da parte del pubblico di accostarsi, nei termini di fruizione-analisi-comprensione, ad uno spettacolo di teatro –e ciò è avvenuto maggiormente nella serata in cui era presente la tua compagnia, Kataklisma, e gramigna_ct.

E.F. Si, era evidente la difficoltà da parte dello spettatore di accostarsi ad uno spettacolo di teatro come quelli presentanti ad Uovo critico –che poi sono quelli che ci interessano, che noi facciamo- e di riuscire a leggerlo. Ma proprio in quella sede il pubblico ha avuto la possibilità di porre delle domande, chiare, nette, all’artista. Io, durante il mio lavoro, tengo ben presente questi quesiti: che tipo di rapporto instauri con il pubblico? In che modo ti poni? Che tipo di linguaggi usi? E ad Uovo critico son venute a galla tutte queste difficoltà che investono maggiormente lo spettatore. Io tento di porlo in attività, il pubblico, e non in passività: ti incarico, tacitamente, di costruire tu qualcosa con quello che accade. Ma anche lì c’è una difficoltà. Qualcuno si sente troppo investito, c’è una resistenza.

L.N. E’difficile, per il pubblico, distruggersi ed ammettere di essere in discussione quanto l’artista, in uno spazio orizzontale come è il teatro.

Tutto ciò, questa “strana” risposta da parte del pubblico, appare paradossale. Dall’ “entfremdung” brechtiano fino allo spasmodico sforzo compiuto dall’arte contemporanea per cercare di oltrepassare una millenaria fruizione passiva, tutto tende ad una diverso rapporto tra pubblico ed opera/evento di rilevanza artistica. Eppure il pubblico ancora oggi tende a rifiutare ciò.

E.F. E’ anche un limite tutto italiano. Tutto quello che è passato non è stato ancora assimilato. E in massima parte ciò è avvenuto in teatro: gli strumenti che il pubblico italiano possiede sono ancora quelli di stampo ottocentesco.

Isabella Di Cola: Nelle arti visive, nella musica, c’è stato questo mutamento del comportamento del pubblico. Il rinomato “ogni spettacolo è una lavagna cancellata su cui lo spettatore scrive la propria storia”. Ma a teatro, e particolarmente qui in Italia, tutto ciò ancora deve avvenire. La risposta al teatro tradizionale ancora stenta ad affermarsi. Non a caso le domande più pressanti nelle serate più “spiazzanti”, cioè la nostra e quella di gramigna_ct, sono state poste da spettatori che raramente escono dalla sfera del teatro istituzionale, riconosciuto. E uno dei temi analizzati da Riccardo Frezza è stato proprio quello dell’ “enclave”.

Una delle possibili risposte nate all’interno dello stesso Uovo critico è stata quella fornita da Graziano Graziani a proposito dello spettacolo Lev dei Muta Imago: un’ “extra-testualità” maggiore -che il critico possiede grazie alle cartelle stampa, alla conoscenza preliminare del lavoro delle compagnie, al rapporto privilegiato con l’artista- da donare al pubblico, sprovvisto di ciò, forse aiuterebbe lo spettatore alla comprensione, all’entrare dentro lo spettacolo. Una parziale risposta mi è stata fornita tempo fa da Claudia Sorace dei Muta Imago, che ha asserito <<Il critico è giusto che si ritrovi degli strumenti in più, il pubblico deve avere lo spettacolo>>.

E.F. Senza conferire una sacralità eccessiva al critico, è vero che lui può offrire al pubblico le chiavi, i grimaldelli, per andare a scardinare un pezzettino dello spettacolo -che poi potrebbe portare ad altre idee e ad altri pezzi dello spettacolo ricomposti solo dallo spettatore, chissà... E comunque è il pubblico a decidere, tra i grimaldelli proposti, quali usare. Il pubblico deve avere lo spettacolo.

L.N. Se il critico riesce a trovare un codice simile a quello dell’artista, può arrivare a decodificare in modo preciso anche per il pubblico.

L’altra direttrice cartesiana presente in modo ingombrante ad Uovo critico è stata quella economico-organizzativa. Ad esempio, sembra che il termine stesso “indipendente” solga definire solamente fasce ben determinate, precostituite, di realtà. Ed uno degli atteggiamenti tipici delle istituzioni, riguardo proprio queste fasce, è delegittimare la loro ricerca artistica attraverso definizioni quali “giovani artisti”, “nuova scena performativa” ecc. Ma se conosciamo effettivamente ciò di cui stiamo parlando ci balza subito agli occhi che Andrea Cosentino e Daniele Timpano non rientrano nell’accezione di “giovani”, e che realtà come Psicopompo Teatro o voi di Kataklisma non apparteniate alla “nuova scena performativa” visti i vostri trascorsi. Questa sembra essere una chiara ed efficace strategia per ghettizzare ancor di più -in un paese in cui essere giovani significa avere quaranta anni- le forze e le realtà che sono alterità rispetto alle istituzioni.

E.F. Il discorso sull’alterità per me è fondamentale. E’ la chiave con cui guardare tutta questa realtà. Dire “nuovo” rispetto a “vecchio” significa già stabilire un ordine, un ordine, appunto, di questa realtà. Se il “vecchio” c’è, allora il “nuovo” è già differente proprio per questo. Ma il “nuovo” in quanto “giovane” è da tenere da parte, da mettere in attesa. Un’intera generazione di artisti, di “persone”, sono state tenute in una sorta di limbo –volenti o nolenti. E in questa situazione di limbo sei indifeso, sei imprigionato in una “riserva”, e aspetti che qualcosa crolli. Ma cosa deve crollare? Quale è quel “vecchio” di cui devi prendere il posto? Chi è che sancisce il tuo passaggio ad una specie –finalmente- di “esistenza”? Tutto ciò è lo scenario entro il quale riflettere: non è solo una questione artistica, ma politica, culturale, sociale.

Paradossalmente –e ciò potrebbe far gridare al complotto i più paranoici tra di noi- l’altra grande “forza” presente alla manifestazione, è cioè la critica, ha i vostri stessi problemi legati agli spazi, alla visibilità, ai finanziamenti.

E.F. Questo ancor di più conferma quello che stavamo dicendo. Il teatro, in fondo, non è che una parte di un quadro più grande che comprende la politica, il sociale, l’economia: ed è proprio il quadro generale ad essere malato. Durante Uovo critico si è prepotentemente scoperto che la critica ha i nostri stessi problemi. I giovani rivendicano degli spazi, ma gli stessi giovani non si considerano dei critici, come ha affermato lo stesso Lorenzo Donati.

L.N. Non per nulla abbiamo presentato Uovo critico al convegno che Riccardo Frezza organizzò al Teatro Furio Camillo dal titolo Critica/Nuova critica, che verteva proprio sull’avvicendamento dei critici con le nuove generazioni

Cosa ci dovremo aspettare da prossimo Uovo critico? Sempre se, ed è importante sottolinearlo, sarà possibile rifare questa esperienza.

E.F. Noi siamo determinati perché ci sia una prossima edizione. Ma in fondo Uovo critico non si è concluso con l’ultimo incontro: stiamo pubblicando, mano a mano che ci arrivano, le riflessioni degli artisti e dei critici coinvolti; i Depositi di Valentina Valentina continuano; la presenza a Teatri di Vetro e alla trasmissione di Radio3 Rumori fuori scena...insomma, è un “laboratorio” ancora in atto, vivo. Si sta ancora riflettendo riguardo quello che dobbiamo ancora imparare rispetto a questa prima esperienza. Sicuramente una delle direzioni da esplorare sarà quella della scoperta dei “nuovi critici”, evidenziando ancor di più questa, fino ad adesso, evanescente presenza. E cercando di far venire un numero ancora maggiore di compagnie non romane.



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