Lullaby to My Father
La Storia spesso si nutre di frammenti, si annida nei rivoli dei percorsi umani. Tasselli di un puzzle da ricomporre e che solo completo può darci un quadro visibile e concreto dei fatti di un contesto storico. Lullaby to My Father è il secondo capitolo di un articolato progetto di Amos Gitai che si propone di analizzare la storia della sua famiglia cercando nelle esistenze degli individui i dinamici echi di epoche passate. Dopo Carmel (dedicato alla madre) ecco dunque il ritratto di Munio Gitai Weinraub, padre del regista, un famoso architetto cresciuto nella scuola del Bauhaus, compagno di Gropius e di altri geniali menti dell’epoca. La sua storia è simili a quella di altri talenti dell’epoca nella Germania nazista: la formazione di Munio si interrompe per le persecuzioni razziali, che gli precludono di completare il suo percorso accademico. Finisce sotto processo, accusato di essere un sovversivo, e gli vengono sequestrati i documenti e i suoi progetti. Munio fugge così in Palestina portando con se le idee architettoniche sviluppate negli studi in Germania. E proprio grazie all’arrivo di numerosi ebrei in fuga che in Israele il Bauhaus trova terreno fertile e mirabili applicazioni concrete, visibili ancora oggi nella capitale Tel Aviv. Un’idea di architettura che è politica, un’utopia concreta che crede nella possibilità per l’uomo di creare spazi di libertà. Amos Gitai traccia attraverso il padre un percorso simbolico che tocca lo stato di Israele, le radici del popolo ebraico e le grandi utopie del Novecento, senza abbandonare uno sguardo estetico estremamente raffinato.
Il linguaggio utilizzato è quanto mai composito, in continuo equilibrio tra ricostruzione, poesia, memoria storica e rielaborazione espressiva. La lettura di poesie si alterna allo scorrere di immagini fotografiche, così come le interviste alle ricostruzioni fiction. Le soluzioni narrative si alternano in armonia, così come lentissimi e potenti movimenti di macchina seguono a strettissimi primi piani. Le interviste sono rotte dalle letture delle lettere di Munio ai suoi familiari, con le magnifici voci di Jeanne Moreau e Hanna Schygulla. Insomma Gitai sembra applicare al suo stesso film i principi del Bauhaus: “La materia determina la forma”. Una vera lezione di documentarismo.
Regia: Amos Gitai Sceneggiatura: Amos Gitai Fotografia: Renato Berta Montaggio: Isabelle Ingold Scenografia: Miguel Markin Musica: Zoe Keating Interpreti: Uael Abecassis, Jeanne Moreau, Hanna Schygulla, Keren Gitai, Ben Gitai Produzione: Agav Films, Hamon Hafakot, Elefant Films, Arte Cinema France, CNC, Rai3, RAbinovich Foundation, Achav Films Paese: Israele, Francia, Svizzera, 2012 Durata: 90′