My Dog Killer
Steppa slovacca. Siamo all’inizio e due totali, a mò di fermo immagine, ci raccontano il risveglio del sole. Il quadro poetico sembrerebbe cullare il nostro sguardo che si perde nell’orizzonte ma l’abbaiare violento di un cane, in fuori campo, mette immediatamente le cose in discussione.
L’algido, spigoloso diciottenne Marek è marchiato sin dall’inizio e a tutti i livelli. Marchiato sulla pelle, con quel tatuaggio sul collo, marchiato negli affetti, con un padre ubriacone e una mamma scappata di casa che l’ha abbandonato per fare un figlio con un gitano, marchiato nelle compagnie, con quella banda di nazi-fascisti, rasati e tatuati come lui, che lo “sopportano” e marchiato nei movimenti, con quel casco nero e il numero diciotto che spiccano mentre guida una moto della Seconda Guerra Mondiale. Il suo unico amico è il cane Killer, che addestra con violenza. Ma, come il reticolato preciso della sua vigna prima o poi finisce, così anche lui dovrà affrontare il suo punto di non ritorno.
Ma lo scatto non sempre ribalta la situazione e la fissità del volto di questo protagonista ,dilaniato al suo interno, sancisce il punto di vista della regista Mira Fornay. Quest’ultima dimostra talento nel giocare con i movimenti di macchina e i piani. Ad una prima parte di film incentrata, sotto un cielo plumbeo, tutta su movimenti, carrellate orizzontali, vere metafore della fissità e del piattume esistenziale negli sperduti paesi post-sovietici, la regista sviluppa una parte centrale in cui si concentra sui volti e sul dramma familiare di Marek, per poi, durante e dopo il colpo di scena, abbandonarsi alla verticalità e ad una fotografia notturna, che diventa presagio di inesorabile ciclicità.
La tensione tuttavia in alcuni punti sembra scricchiolare a causa della lentezza del finale e della nervatura approssimativa di alcuni personaggi, come la nonna di Marek, lo zio affarista e lo stesso piccolo Lucas, fratello del protagonista e detonatore drammaturgico della storia. Un film pensato, ragionato e con un protagonista sempre fattivo e misuratore dello spazio.
(Môs Pes Killer); Regia: Mira Fornay; sceneggiatura: Mira Fornay; fotografia: Tomáš Sysel; montaggio: Hedvika Hansalová; musica: Ján Ravasz; interpreti: Adam Mihál, Irena Bandová, Marián Kuruc; produzione: MIRAFOX, Cineart TV Prague; Slovacchia/Repubblica ceca, 2013; durata: 90’.