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Quarantena

Pubblicato il 9 febbraio 2009 da Marco Di Cesare


Quarantena

Rec, lo splendido horror spagnolo di Jaume Balagueró e Paco Plaza che la scorsa stagione ha illuminato un intero genere cinematografico, non è ancora approdato in America. Per colmare questa lacuna si è fatto avanti un pallido simulacro che vive (?) tra la schiavitù e il rispetto verso l’illustre e coevo predecessore e la ricerca di una sua propria identità: perché accanto agli evidenti limiti di reinvenzione, che giungono fino al copia-e-incolla più estremo di molte scene elaborate dai registi iberici (ora impegnati nelle riprese di Rec 2), si fanno notare anche alcune variazioni di certo non piccole, tutt’altro che impercettibili, cambiamenti figli dell’humus statunitense, alterazioni mai indolori, anzi alquanto letali e più che sufficienti per far variare l’ideologia sottintesa da Rec, rendendo manifesta la mancanza di coraggio di Quarantena, oltre che la sua pressoché totale inutilità artistica, simbolo di un’America reazionaria, allo stesso tempo provinciale e imperialista, capace solo di sfruttare le idee altrui per scopi puramente commerciali.

L’azione da Barcellona viene trasposta nella città più ispanica d’America: Los Angeles. Così ci lasceremo accompagnare dalla cronista Angela Vidal (Jennifer Carpenter) e dal suo cameraman Scott (Steve Harris) in un reality televisivo sulle persone che lavorano mentre il resto del mondo dorme, al seguito di una coppia di pompieri che, chiamati dalla polizia, entreranno in un piccolo complesso di appartamenti, dove sta per scatenarsi qualcosa di incredibile e allucinante, a causa di un’inquilina del terzo piano, un’anziana signora dal cognome spagnolo.

Quarantena è stato prodotto, tra gli altri, dalla ’Vertigo’ di Roy Lee e Doug Davidson, responsabili della realizzazione in inglese di film non americani e lontani dal mainstream yankee: dalla traduzione sono nate opere irritanti come The Ring, The Grudge e The Departed che, a causa della loro americanizzazione, hanno perso molto, a volte troppo, nel cercare di avvicinare al pubblico d’oltreoceano la presunta lontananza ed estraneità degli originali.
Anche in questo caso si perde molto, tanto che, lungo la trasvolata, viene a mancare proprio quell’audace insistenza di Balagueró e Plaza – ostinazione ideologica, per l’appunto – di disumanizzazione dell’uomo con la macchina da presa – ops, con la videocamera – felice sintesi dell’intromissione dell’audiovisivo nelle nostre vite. Perché più volte possiamo vedere il volto di Scott: riflesso in uno specchio mentre cerca di rimirare l’orrore, invisibile eppure raggrumatosi su di lui; oppure inquadrato dal suo stesso obiettivo, quello che sta pulendo dal sangue di uno dei ’mostri’ che ha appena abbattuto grazie alla fedele amica che porta in spalla, vero occhio che uccide, ma che forse sa anche salvare, oltre che registrare più o meno passivamente la realtà nella quale cerca di addentrarsi e dalla quale rischia di essere fagocitato.

Perché la realtà è un mondo dove le vite degli uomini vengono spente fino a resuscitare sotto forma di bestie feroci, oggetti o meri fatti anch’essi disumanizzati, documenti e reperti degni solo di essere analizzati e messi in scena dall’occhio vigile della televisione, come in un contagio divenuto ancora più veloce nell’epoca dell’informazione che viaggia lungo le strade tecnologiche. Uomini che sono vittime: della tecnologia come delle istituzioni grazie alle quali dovrebbero invece sentirsi protetti.
E in modo alquanto vile, forse per adeguarsi alla tipica paranoia americana sulla sindrome dell’accerchiamento, gli sceneggiatori (ossia i fratelli Dowdle) preferiscono spostare le attenzioni, che nel magnifico e inquietante finale di Rec erano rivolte contro la Chiesa cattolica, piuttosto verso una fantomatica setta che, come al solito in molti horror (d’oltreoceano), sta a rappresentare un pericolo terrorista, una incognita ’straniera’ – anche quando in realtà non lo è, come il caso antrace insegna - categoria mentale atemporale nonostante l’11 settembre e sempre pronta a fare breccia nel cuore di una certa Hollywood. Così non viene ben approfondito il lato eversivo di Rec, nel quale Balagueró ha allargato il suo sguardo, avendo spostato la sua attenzione sul Male incarnatosi nella stessa organizzazione ecclesiastica - forse perché ora figlio di un’epoca zapateriana che probabilmente regala maggiori libertà - dopo aver anche lui guardato alle sette in Nameless e in Darkness. In questo modo in Quarantena viene meno il climax della discesa verso gli inferi (che procede man mano che si sale di piano e si tenta la fuga, ironica rivisitazione della tipica figura orrorifica della trappola per topi), quando nell’esempio spagnolo l’orrore fisico lasciava il posto a quello puramente mentale, a quello delle idee. Così l’inquietudine, più che reinterpretata, viene qui solamente rivista, diminuendone per l’appunto la portata destabilizzante: perché non è più il Sistema a risultare malato e propagatore del Male, ma solo una sua parte deviata. Tanto che gli ultimi minuti di Quarantena sfiorano la comicità, a causa di una fantomatica spiegazione che scorre lieve e veloce, in maniera del tutto sterile.

E la presenza dell’espediente ormai abusato del ritrovamento di una videocassetta, unica testimonianza di quanto accaduto, diviene molto più un richiamo a The Blair Witch Project che a Rec, dove le riprese sono invece da considerarsi ’live’ e mantengono un aspetto sporco e trascurato, molto più che nel remake, al quale solo la bravura e il fascino semplice e naturale della ’Scream queen’ Jennifer Carpenter sanno donare un po’ di credibilità.
L’aspetto ormai preponderante di Quarantena, ossia l’isolamento, viene ancora più sottolineato dalla scena in cui alcuni inquilini riescono a carpire delle immagini da una televisione, dove un servizio giornalistico sta raccontando come le autorità abbiano sigillato un palazzo sgombro di persone. Così come, a riguardo, sono da sottolineare i rumori delle pale di elicottero provenienti dall’esterno: rumori che si sentono spesso lungo il film e unici suoni che scorrono assieme al silenzio dei titoli di coda, per voler ingenerare una certa afflizione e un certo turbamento, di sicuro uno dei pochi particolari anche apprezzabili che rimangono nella memoria terminato il film.


CAST & CREDITS

(Quarantine); Regia: John Erick Dowdle; sceneggiatura: John Erick Dowdle e Drew Dowdle, basato sul film Rec scritto da Jaume Balagueró, Paco Plaza e Luiso Berdejo; fotografia: Ken Seng; montaggio: Elliot Greenberg; musica: Nome; interpreti: Jennifer Carpenter (Angela Vidal), Steve Harris (Scott Percival), Jay Hernandez (Jake), Johnathon Schaech (George Fletcher); produzione: Screen Gems, Vertigo Entertainment/Andale Pictures e Filmax Entertainment; distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia; origine: USA, 2008; durata: 89’; web info: sito italiano.


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