Queen of Montreuil
Sólveig Anspach torna a raccontare una storia di incontri surreali che danno luogo a una nuova famiglia, un po’ come nel precedente Back Soon, di cui Queen of Montreuil rappresenta il seguito attraverso il comune personaggio interpretato da Didda Jónsdóttir, spacciatrice d’erba in fuga dal freddo islandese decisa ad approdare a Parigi. Qui il suo personaggio fa da tramite verso una nuova comunità, non meno bizzarra, che ruota attorno alla giovane Agathe, regista da poco vedova, decisa a rintanarsi nella sua casa di Montreuil per metabolizzare il lutto, e che si ritrova invece al centro di vari intrecci, accerchiata da personaggi naif che l’aiuteranno suo malgrado a superare l’impasse emotiva.
Se riassunta in questo modo la trama può sembrare una favola leggera e anche superficiale, il film della Anspach non aggiunge nessuno spessore a un soggetto già molto povero, che sembra guardare – in modo talmente ingenuo da suscitare una certa tenerezza – al cinema di Kaurismaki o al filone del “cinema di strada parigino” portato avanti a metà anni Novanta da Cédric Klapisch. E in effetti Queen of Montreuil ricorda in più momenti Ognuno cerca il suo gatto, con gli andirivieni dei protagonisti per le strade del quartiere, il loro costituire a tutti gli effetti una famiglia allargata, colorata e disfunzionale.
Ma a differenza di Klapisch e del suo sguardo partecipe, in grado di registrare gli umori della strada e di dare vita a un ritratto urbano che trasudava una affettuosa air de famille, la regia della Anspach sembra smarrirsi in questo microcosmo, tra personaggi appena abbozzati con cui non si crea mai un’empatia e una regia al limite dell’amatorialità, che a tratti sembra auto parodiarsi, come nel finale sguardo in macchina sulla spiaggia lanciato dalla protagonista, un omaggio a Truffaut e al cinema francese del tutto accessorio e stridente col mondo di Queen of Montreuil. Che è quello di un cinema che si autocita - la presenza surreale degli animali, l’oca in Back soon qui sostituita da una foca - ma senza avere la forza e l’ispirazione necessaria per dar vita con i propri personaggi a una saga. Un cinema, in definitiva, che non arricchisce lo sguardo né lo allevia e che lascia perplessi circa la sua presenza in una manifestazione come quella veneziana, sia pure in una sezione collaterale.
Regia e sceneggiatura: Sólveig Anspach; fotografia: Isabelle Razavet; montaggio: Anne Riegel; musica: Martin Wheeler; interpreti: Florence Loiret Caille, Didda Jónsdóttir, Eric Caruso; produzione: Ex Nihilo; origine: Francia, 2012; durata: (esempio) 87’;