Roma 2008 - Bob Marley: Exodus ’77 - L’altro cinema

Era uno dei film più attesi di questa terza edizione del Festival internazionale del Film questo Bob Marley: Exodus ‘77.
Lo era per più di un motivo. In primo luogo per l’argomento trattato: la storia dell’incisione del più rivoluzionario tra gli album realizzati dal mito del reggae innervata e sostanziata da precisi riferimenti alla vita politica e sociale a lui contemporanea. Poi per la fama di cui gode, in particolar modo nel mondo anglosassone, una trasmissione televisiva come Arena (che vede nel regista Anthony Wall uno dei suoi principali curatori e delle sue figure di maggior rilievo). Una trasmissione, quella di cui stiamo parlando, che è diventata, col tempo, uno degli appuntamenti fissi della BBC ed è considerata, da anni, come un vero e proprio termometro del gusto culturale dell’intero emisfero occidentale. Per questo programma era stato pensato e realizzato, il film di cui stiamo parlando.
Insomma, sin dai giorni in cui Mario Sesti aveva presentato alla stampa e al pubblico il programma di L’altro cinema, Bob Marley: Exodus ’77 ha cominciato ad alimentare tutta una serie di aspettative che non avevano necessariamente a che vedere con il mondo del cinema tout court. Ad orientare le attese del grande pubblico era, infatti, essenzialmente l’appeal che ancora oggi possiede la musica del grande cantante ed autore giamaicano. Ad alimentare le curiosità della critica era, invece, la dimensione televisiva del prodotto che ben si sposava, almeno sulla carta, con la vocazione alla ricerca a tutto tondo di una sezione come L’altro cinema.
Come sempre accade, comunque, quando le aspettative si fanno troppe e troppo ingombranti diventa estremamente difficile guardare al risultato finale con la giusta obiettività e il giusto distacco critico.
La prima reazione immediata di fronte al film, infatti, è la tentazione di liquidarlo in sede critica con poche parole di stima per la buona confezione del prodotto e per le lodevoli intenzioni che hanno spinto gli autori a realizzarlo. Tentazione che rivela e nasconde al tempo stesso una realtà sul film abbastanza ingombrante: Bob Marley: Exodus ’77, nel suo ripercorrere le tappe salienti di una vita illustre e della storia mondiale, in realtà si mantiene strettamente ancorato alla sua matrice appunto televisiva. La dimensione strettamente didattica (spiegare al vasto pubblico il perché di determinate scelte da parte del cantante legandole al contesto storico, politico e culturale nel quale prendevano corpo) sopravanza ogni ulteriore considerazione estetica. E non bastano scelte in certo qual modo destabilizzanti (come quella di iniziare il racconto nel nostro presente per poi tornare indietro nel tempo con immagini “lette al contrario”) a spingere la ricerca nei lidi dell’originalità e della sperimentazione. Anche la scelta di analizzare i vari mesi del 1977 (annata fondamentale nel disegnare le coordinate del nostro stesso presente) alla luce delle varie tracce del disco Exodus rivela più che altro la preoccupazione di dividere l’enorme mole di materiale in capitoli facilmente accessibili e consultabili. Più pagine di un saggio, peraltro pregevole, che inquadrature di un film che aspira ad utilizzare l’audiovisivo come strumento di conoscenza e di trasmissione del sapere.
In questo modo le immagini di repertorio vengono ricondotte alla loro essenza di “documento” e il film finisce per ascriversi a pieno diritto nella categoria del documentario rivolto al grande pubblico. Quello stesso pubblico verso cui Greenaway lanciava i suoi strali nel film che aveva aperto i lavori della sezione L’altro cinema: Rembrandt’s J’accuse. Un pubblico talmente assuefatto all’immagine da essere diventato incapace a decifrarla.
Il grande peccato di Bob Marley: Exodus ’77 non è, quindi, nelle sue ambizioni e nei suoi contenuti, ma nella scelta di campo che sta a monte di quei temi e di quelle idee. L’album più innovativo della storia della musica contemporanea avrebbe meritato una scelta più innovativa, una regia capace di andare oltre la dimensione del film saggio montato tra musica e storia del costume e della società.
Così anche la scelta finale di far urtare le immagini della guerra in Iraq di oggi con le note di Redemption song assume un che di risaputo che la musica da sola non ha mai avuto. Segno del genio di Marley e del motivo del parziale fallimento estetico di questo pur non disprezzabile documentario.
(Bob Marley: Exodus ’77); Regia: Anthony Wall; fotografia: Anthony Wall; montaggio: Emma Matthews; produzione: Tuff Gong; origine: Gran Bretagna, 2008; durata: 90’
