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Roma 2008 - El último truco. Emilio Ruiz del Río - L’Altro Cinema

Pubblicato il 29 ottobre 2008 da Marco Di Cesare


Roma 2008 - El último truco. Emilio Ruiz del Río - L'Altro Cinema

Chissà in cosa consiste la differenza tra artigianato e arte. Può forse trattarsi di una diversità di vedute della critica, del pubblico e del senso comune che possono attribuire allo stesso oggetto termini che per alcuni significano concetti molto diversi, mentre per altri non sono poi molto distanti fra loro? Di certo esiste, però, un tratto comune che lega gli artisti agli artigiani: le mani e la mente, che insieme posseggono l’incredibile capacità di costruire e realizzare un qualcosa di materiale e materico, un qualcosa che la Natura non aveva previsto. Come accade anche nel cinema, regno della tecnica e della tecnologia.
Emilio Ruiz del Río è stato un Maestro, per lo più misconosciuto: perché è stato il genio dei trucchi per il cinema nella sua epoca classica, quella pre-digitale. Spagnolo, nato a Madrid nel 1923, si innamorò fin da subito del teatro e del cinema, in particolare delle magie che questi potevano offrire al suo sguardo, occhio vorace nel voler comprendere e analizzare: lungo questo documentario di Sigfrid Monleón, l’ormai anziano del Rìo affermerà che da fanciullo era interessato ben poco alla trama delle pellicole, preferendo soffermarsi molto di più sui trucchi, cercando di capire come questi venissero realizzati. Era, quindi, già da allora conscio di quanto l’aspetto più propriamente visuale fosse preponderante all’interno dello spettacolo cinematografico. E in effetti, come verrà detto in una delle tante testimonianze raccolte da Monleón, il maestro sapeva realizzare brani di Cinema puro.
del Río amava definirsi non come un creatore di effetti speciali, ma come l’autore di piccole scenografie. Scene pitturate su di un vetro, per la precisione: quel vetro che è superficie (in)visibile sulla quale creare un paesaggio in piccola scala, uno sfondo ’falso’ che vada poi ad adattarsi perfettamente a un modellino creato dalle sue mani sapienti, l’uno accanto all’altro per creare un nuovo paesaggio che nasconda quello vero, quello nella quale è immersa la location del film. Come a voler sottolineare ancor più la veridicità del (suo) ’falso’, del Río ricorda con un certo piacere il lavoro in Ogro di Gillo Pontecorvo (la macchina di Carrero Blanco che salta in aria e oltrepassa un palazzo ricadendo al suo interno): da quel film in poi, chiunque abbia voluto parlare di quell’attentato, non ha potuto riproporre quella sequenza, che è assurta al ruolo di vero e proprio documento. Perché del Río sapeva unire il falso al vero, capacità straodinarie che ha messo al servizio sia di film con pochi mezzi a disposizione, sia di opere che potevano contare su budget imponenti, come affermerà Raffaella De Laurentiis. Tanto cinema di serie-b per il signor Ruiz, ma anche molti soldi per poter realizzare i suoi sogni e le sue visioni: Conan il Barbaro, Dune, La spina del diavolo, Il labirinto del fauno nell’ultimo quarto di secolo di carriera. Senza però poter dimenticare Rapporto confidenziale di Orson Welles e Quel maledetto treno blindato di Enzo Castellari, che nel 1978 fece parlare di sé anche grazie al meraviglioso effetto speciale dell’incidente del treno alla stazione (film omaggiato anche da Tarantino).
L’occhio della mdp si può ingannare, l’occhio umano no; per cui quando il nostro sguardo cadrà in trappola, allora sì che la magia potrà avere inizio. Questo è il grande insegnamento lasciato da Emilio Ruiz del Río.
Il signor Emilio Ruiz è morto mentre questo documentario era da poco entrato in fase di montaggio, come ci informeranno i titoli di coda. Dopo quei caratteri bianchi incisi su di uno sfondo nero, non potranno non tornare in mente le parole dello stesso del Río, che con sagace ironia ha aperto il film affermando che forse non è del tutto giusto che lui debba svelare i suoi trucchi e le sue tecniche, come ormai è divenuto moda dopo che gli americani vent’anni fa hanno cominciato a realizzare backstage, togliendo magia al lavoro degli artisti di cinema. Chissà se ciò è vero. Di certo il lavoro di Monleón non ha tolto alcuna magia, ma le ha anzi reso un sentito omaggio, ricordo di un tempo ormai lontano, lontano dall’epoca degli effetti digitali che creano una realtà a posteriori, invece che a priori.


CAST & CREDITS

(id.); Regia: Sigfrid Monleón; sceneggiatura: Sigfrid Monleón e Asier Mensuro; fotografia: Gonzalo Berridi e Rafael Cedrés; montaggio: Buster Franco; musica: Joan Valent; produzione: Aiete Ariane Films, TVE, ICAA, Indigomedia, C.A.T.A.; origine: Spagna, 2008; durata: 92’.


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