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Roma 2008 - Opium war - Cinema 2008

Pubblicato il 29 ottobre 2008 da Carlo Dutto


Roma 2008 - Opium war - Cinema 2008

Dopo aver raccolto premi in tutto il mondo con lo struggente Osama, torna alla regia l’afgano Siddiq Barman. Lo fa con la piccola storia di due soldati statunitensi dispersi nel deserto afgano, ambientata al giorno d’oggi in un Afghanistan lontano dalle zone di combattimento, in luoghi che comunque trasudano la violenza poco lontana, immersi in una scenografia naturale vasta e inospitale.

Un film quasi minimalista, nei dialoghi e nell’economia degli episodi, che avanza con un disordine che è quello della guerra, senza cognizione dell’immediato futuro, senza sapere se chi hai davanti oggi è amico o nemico. That’s war, folks e film come Opium war ce lo ricordano, a modo loro. Anche senza essere stilisticamente un capolavoro. Poco resta infatti di un film che adotta una chiave a metà strada tra il serio e il faceto, senza nessuna palese mancanza da parte del regista, a partire dalla scelta oculata dei luoghi, spazi aperti, inospitali del deserto afgano, passando per le psicologie azzeccate degli attori bambini. Ma sembra tutto perfettino, senza vera anima, lasciato andare, pur nell’evidente sforzo produttivo a più bandiere.

Una storia che ruota attorno all’idea centrale dei due soldati dispersi (interpretati da attori poco noti), e che può essere comparata per certi versi al capolavoro (quello si) di Danis Tanovic No man’s land. Ambedue i film si presentano come una sorta di parabola della guerra, vista attraverso micro episodi che sono conseguenza dell’odio e del conseguente conflitto. Ambedue ci raccontano di vittime, senza distinzione di divise o lingue. Che siano soldati bosniaci o del contingente Onu, bambini afgani o soldati Usa, la”macchina” che dirige le loro vite è troppo grande, li guarda dal cielo e ne decide i destini. La fuga dalle ferite della mente e della carne può avere molte diramazioni e una di queste è l’oppio, che anestetizza, placando i pensieri e donando apparente, momentanea pace dei sensi. Questo scoprono i due soldati precipitati con un elicottero e miracolosamente sopravvissuti. Saranno adottati da un gruppo di bambini dall’età e dai genitori indefiniti, sorta di “orfanelli” dell’Isola che non c’è cresciuti troppo in fretta tra violenze e privazioni. Intorno, spuntano talebani, vecchi pastori e l’eco della guerra giunge attraverso il rumore delle pale di un elicottero. I due soldati di Opium war fanno ricordare il Billy Pilgrim raccontato da Kurt Vonnegut e se nel libro del compianto scrittore di Indianapolis la fuga della mente dagli orrori della guerra era uno zoo fantascientifico di nome Tralfamadore, qui, nel Mattatoio N.1000 dell’umanità leccare una pianta d’oppio può essere l’unica, valida evasione.

Carlo Dutto


CAST & CREDITS

(Id.); Regia e sceneggiatura: Siddik Barmak; fotografia: Georgi Dzulaiev; montaggio: Michele Hickson; musica: Daler Nazarov; interpreti: Peter Bussian (Don Johnson), Joe Suba (Joe Harris), Fawad Samani (Scorpion), Marina Golbahari (giovane folle); produzione: Barmak Film; origine: Afghanistan, Giappone, Corea Del Sud, Francia 2008; durata: 90’


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