Roma 2008 - Tahaan - Alice nella città

«Tahaan vuol dire misericordia»: la misericordia impersonata da un bambino di otto anni che vive nel Kashmir, terra di confine per antonomasia, fatta di vette che appaiono inespugnabili fortini della Natura, che difendono il territorio ma, allo stesso tempo, lo imprigionano, come la diffidenza che divide indiani e pakistani.
Tahaan vive in un villaggio assieme al nonno, alla madre sordomuta e alla sorella maggiore Zoya. Ma non assieme al padre, scomparso da oltre tre anni, il cui ritorno è il desiderio più grande di tutti. Un giorno la morte del nonno fa sì che lo strozzino Lalaji e il suo amministratore Kuka arrivino a reclamare la rifusione di un debito: i due porteranno via il patrimonio di famiglia, compreso Birbal, l’amatissimo asino, regalo del padre, dal quale il bambino non si separa mai. Per Tahaan, riportarlo a casa diventerà l’unica ragione di vita: ogni volta che potrà, lo avvicinerà e veglierà su di lui, scatenando anche le ire del nuovo padrone dell’animale. Dopo vari tentativi per guadagnare del denaro, Tahaan scoprirà che Birbal è stato comprato da un uomo che vuole utilizzarlo per trasportare mercanzie oltre le montagne, quelle stesse montagne dalle quali il padre non è più tornato.
Il film del regista indiano Santosh Sivan è una fiaba mai stucchevole, dove i personaggi adulti appaiono sia ’buoni’ che ’cattivi’, allo stesso tempo e a seconda delle situazioni, come è proprio della natura umana. Ma ciò che più risalta è l’assenza pressoché totale di qualsiasi didascalismo, particolare non sempre ovvio in tanti film e non solo in quelli che sembrerebbero dedicati principalmente a un pubblico di ragazzi.
La pace distaccata della natura appare più come uno sfondo che un personaggio che recita all’interno della messinscena, divenendo una presenza distante: né completamente pacifica, né sempre foriera di incombente pericolosità. Perché ciò che più viene sottolineato da Sivan comunque sono i rapporti tra i personaggi, i loro volti, le loro parole: è questo quello che appare centrale nel film. La particolarità di questa fiaba per immagini è, ancora, la convivenza del realismo con aspetti più onirici, tanto che la cinematografia varia a seconda se l’azione si svolga di giorno o di notte. Anche la regia, in totale armonia con il resto delle parti che realizzano il discorso cinematografico, oscilla tra una naturale semplicità e inquadrature ’strane’, come quando la mdp viene posta sul dorso di Birbal che cammina. Tutto questi aspetti concorrono a fornire al film una forte valenza metaforica. Vi è una scena esemplare a questo proposito, quando un ragazzo più grande di Tahaan, un suo nuovo amico, benderà gli occhi al bambino: avremo così pochi secondi di soggettiva buia, con lo schermo completamente nero che ci renderà capaci di ascoltare solamente le parole divertite del protagonista, il quale non potrà sospettare come sia una granata quello che, secondo il suo nuovo amico, dovrebbe permettergli di risolvere tutti i suoi problemi.
Così, pensando alle parole del regista che, a proiezione finita, dirà come Birbal incarni una metafora (perché l’asino è un animale che può portare di tutto) penseremo anche che questo appare il medesimo destino di Tahaan: resistere, nonostante tutto, così come accade al Kashmir dove costante è la presenza di soldati e di guerriglieri che si fronteggiano. E il finale, aperto, porterà il pubblico di questo film a riflettere con ancora maggiore profondità.
(Tahaan: A Boy With A Grenade); Regia: Santosh Sivan; sceneggiatura: Santosh Sivan, Ritesh Menon e Paul Hardart; fotografia: Santosh Sivan; montaggio: Shakti Hasija; musica: Taufique Qureshi; interpreti: Purav Bhandare (Tahaan), Anupam Kher (Subhan Daar), Rahul Bose (Zafar), Rahul Khanna (Kuka Saab), Victor Banerjee (il nonno); produzione: IDream Production; origine: India, 2008; durata: 105’.
