Roma 2008 - The man who loved Yngve - Fabbrica dei progetti
Un nuovo compagno di classe sconvolge la vita dell’adolescente Jarie, roscio frontman di una punk band di Stavanger, sulle coste norvegesi: il biondo, statuario Yngve. “Figa, rock e rivoluzione” le tre verità del punk del bunker, tre miti inseguiti a loro modo, tre “parole d’ordine” figlie del boom degli anni Ottanta che il grunge di li a poco travolgerà con la sua ribellione a un sistema oppressivo che è prima di tutto mentale. Una vita di pochi, stretti amici, una splendida ragazza, una madre comprensiva e un po’ soffocante, sconvolta dall’arrivo del biondo ragazzo, antitesi e motivo di turbamenti del giovane Jarie. Le vicende private vanno di pari passo con quelle della Storia: nel novembre del 1989, mentre una adolescenza plasma e rivoluziona corpi e sensazioni, facendo cadere il muro della maturazione, nel centro di Berlino crolla Il Muro.
Un personaggio, quello del biondo, quasi sempre silenzioso Yngve, che risulta un parallelo “cresciuto” del personaggio manniano di Tadzio in Morte a Venezia. Vengono subito alla mente le immagini soffuse che Visconti regalò nella sua splendida trasposizione su grande schermo e si individuano connessioni tra il Tadzio trasformato dal regista milanese in un vero angelo della morte e il personaggio del giovane efebo solitario Yngve, appassionato di musica synthpop e di tennis. E se uno incarnava più il simbolo di una struggente nostalgia (Tadzio), Yngve diviene anch’egli un simbolo di turbamento, oltre ad essere più l’incarnazione di una impossibile quiete e serenità contemplativa che la personificazione del desiderio erotico.
Il veneziano Hotel des Bains, decadente luogo di sguardi, impercettibili seduzioni, altare sacrificale dei turbamenti del cuore, viene qui sostituito dal campo da tennis, dove si esplicita la progressiva autocoscienza del protagonista, i turbamenti del giovane, che inizierà a mentire agli amici e alla ragazza, unico microcosmo di una vita ai margini, rischiando di perdere ogni affetto, portando alle corde anche un rapporto irrisolto con un padre assente fallito. Da sfondo, le coste della cittadina norvegese di Stavanger, protesa verso il Mare del Nord disseminato di piattaforme petrolifere e le iniziali brughiere di struggente bellezza ma evocative di una solitudine malinconica, che ha i colori dell’autunno. Unica nicchia di vita per il gruppo di adolescenti outsider, dove provare le canzoni e confrontarsi: il bunker sulla spiaggia, uno dei numerosi costruiti e mai utilizzati dai nazisti per controllare la costa del Mare del Nord e rimasti intatti dagli anni Trenta. Muri di cemento armato attorno, anche qui.
Alla macchina da presa un esordiente, giovane regista, che ha ben amalgamato i materiali del libro originale, uno dei casi letterari (e quindi cinematografici) degli ultimi anni in Norvegia. Una regia che si pone dalla parte dei ragazzi, che palesemente prende posizione verso una generazione di ribelli che nel 1989 viveva i mutamenti del mondo senza forse capirne le conseguenze, la caduta del muro di Berlino come la caduta dei propri tabù, delle proprie certezze, una crescita che andrà di pari passo con un superamento della musica punk verso il grunge, che in quegli anni la scena di Seattle stava portando alla ribalta. Un film fresco e sincero, che stempera tensioni e nodi drammatici con una ironia corrosiva, cinica, affidandosi a intensi attori non protagonisti. A volte la narrazione risente di un forzamento nell’idea di voler essere IL film di una generazione, e il ritmo scende, ma il flashback sui ragazzi che corrono dietro l’autobus si rivela di struggente, malinconica nostalgia.
Carlo Dutto
(Mannen som elsket Yngve); Regia: Stian Kristiansen; sceneggiatura: Tore Renberg; fotografia: Trond Høines; montaggio: Vidar Flataukan; musica: John Erik Kaada; interpreti: Rolf Kristian Larsen, Arthur Berning, Ole Christoffer Ertvåg, Ida Elise Broch; produzione: Motlys AS; origine: Norvegia, 2008; durata: 98’