Saw IV
Nell’ultimo episodio della saga horror per antonomasia di questo scorcio del nuovo millennio cinematografico, si vede la carne, tanta carne: un corpo obeso in mezzo a molti altri, perlopiù palestrati, materia che, anche quando non viene aperta fino ad affondare nella sua più profonda interiorità, appare come ansiosa e palpitante, in spasmodica attesa di essere sacrificata. Molta è la carne, quindi, ma poco il sangue che dovrebbe irrorarla e rivestirla di vita, lasciando che quei corpi cadano nell’anonimato: perché nonostante l’effluvio di liquido rosso, copioso eppure più contenuto rispetto alla puntata precedente, nessuno spruzzo di vitalità riesce a turbare le nostre coscienze, non almeno quanto tanta serialità televisiva made in U.S.A, C.S.I. in testa.
Saw IV comincia lì dove termina il numero III, riallacciandosi anche a quanto già visto nel secondo episodio: eppure risulta come un prequel per l’intera serie, ennesima sequenza di un puzzle che, a quanto pare, potrebbe anche diventare infinito. Perché Jigsaw (Tobin Bell) e la sua dolce e scapestrata assistente Amanda sono morti. Ora il sipario dei titoli di testa si apre su di una asettica scena ambientata in un obitorio, dove giace il corpo dell’Enigmista: una apprezzabile autopsia, che non lascerà molto alla fantasia degli spettatori, rivelerà che lo stomaco del defunto sa digerire qualsiasi oscenità alimentare, compresa un’audiocassetta che nasconde un ultimo (?) gioco architettato dalla sua fervida fantasia, trappola nella quale verrà preso il detective Rigg (Lyriq Bent), comandante della SWAT e unico poliziotto del luogo a non aver ancora saggiato le virtù e i sadici ma liberatori meccanismi del ’Master of Puppets’. Soprattutto vedremo nascere i motivi che hanno condotto John a divenire Jigsaw, grazie all’interrogatorio cui sarà sottoposta l’ex-moglie Jill (Betsy Russell).
Il secondo episodio della saga è stato proiettato al ’Museum of Moving Image’ nell’estate del 2007, all’interno di una lunga retrospettiva intitolata ’It’s Only a Movie: Horror Films from the 1970s and Today’, assieme a film come Arancia meccanica, L’ultima casa a sinistra, Non aprite quella porta e L’uccello dalle piume di cristallo, opere «che avevano shoccato il pubblico di allora con scene raccapriccianti e inquietanti esplorazioni del comportamento umano», fino ai giorni nostri, dove film «di notevole interesse estetico e culturale riflettono chiaramente le paure della nostra epoca», come Alta tensione e L’alba dei morti viventi. È fuor di ogni dubbio - verrebbe qui da aggiungere - che il meccanismo della paura risalga ai tempi più ancestrali dell’uomo e che solo il modo in cui essa si esprime possa essere legato a doppio filo con lo specifico contesto sociale, politico, storico e culturale nel quale essa vive e prospera. In aggiunta a ciò, bisognerebbe ricordare come negli anni a cavallo tra il ’68 e i primi ’80 – ma gli Eighties secondo Carpenter e Cronenberg - l’horror rivestisse un ruolo di più pressante contestazione delle convenzioni sociali: evasione in quanto eversione. Tutti gli altri aspetti che potrebbero dare l’idea di accomunare certi teen-movie di oggi con l’horror indipendente dei Settanta, rientrano nei meandri della tipica destabilizzazione propria dell’aspetto più onirico del genere, così come anche della figura dell’escluso, ossia del mostro obbligato a indossare una maschera. Oggigiorno si è tornati indietro nel tempo, alla ricerca della meraviglia da destare a ogni costo, ma senza più la fuga dalle convinzioni diffuse, come il Dario Argento de La terza madre, maestro ormai accomunatosi (tranne che nel caso dello splendido e isolato Pelts) a molta filmografia orrorifica odierna nel risultare ’succube del Reale’, mostrando incapacità nel divenire Cinema, riproponendo piuttosto gli stereotipi che già affliggono la vita ai quattro lati dello schermo.
Per tornare a Saw IV, proprio il tentativo di fornire una maggiore umanità alla maschera del protagonista, appesantisce la narrazione, visto che questa rimane indecisa tra la visionarietà degli interni splatter e la ricerca di una presunta, quanto scontata, profondità psicologica, assieme alle motivazioni e agli accadimenti che hanno spinto un uomo mite a vestire gli abiti dell’angelo della morte o, meglio, di un altruista molto sui generis. I due piani onirici non si compenetrano con soddisfacente armonia, di continuo alternandosi secondo idee di regia e sceneggiatura alquanto scolastiche: il presente dell’orrore che si può manovrare anche da defunti e la logica del ricordo nel quale si è manovrati da qualcun altro, non combaciano appieno, a causa di inquadrature sghembe e repentini movimenti della macchina a mano vs una calma sulla quale il Caos vuole incombere. Per di più Jigsaw aveva già dismesso la sua maschera, sul finire del primo episodio, perdendo così l’aura dello sguardo proveniente da un mondo superiore, entità astratta che finalmente si rivela come mostruosa e umana allo stesso tempo. Tanto da rendere totalmente inutile, già sul nascere, questo prequel, dove si eleverà fino alla condizione di voce senza corpo: come un Dio, supremo marionettista, ma incapace di provare più alcuna sofferenza e, perciò, divenuto ormai inumano.
(id.); Regia: Darren Lynn Bousman; soggetto: Patrick Melton, Marcus Dunstan e Thomas Fenton; sceneggiatura: Patrick Melton e Marcus Dunstan; fotografia: David A. Armstrong; montaggio: Kevin Greutert; musica: Charlie Clouser; scenografia: David Hackl; interpreti: Tobin Bell (Jigsaw/John), Scott Patterson (Agente Strahm), Costas Mandylor (Hoffman), Betsy Russell (Jill), Lyriq Bent (Rigg); produzione: Lions Gate Films e Twisted Pictures; distribuzione: 01 Distribution; origine: U.S.A. 2007; durata: 94’; web info: sito internazionale, sito italiano.