TRANSE
Parte bene Teresa Villaverde, la brava regista portoghese, autrice di film apprezzati come Tre Fratelli o I Mutanti. Nella parte introduttiva del film, girata a San Pietroburgo con le sue magiche atmosfere, sembra quasi di trovarsi dalle parti (non solo per via della latitudine) e a respirare l’immensità del cinema del sommo Tarkovskij, quello de Lo Specchio in particolar modo. Poi però il film imbocca presto e decisamente un’altra strada (non che questo di per sé rappresenti un difetto, naturalmente) che potremo “quasi” definire dell’impegno civile. Ed ecco che nella vicenda personale della ragazza russa che sogna una vita migliore e attraversa per questo mezza Europa, finendo in Italia come prostituta, la Villaverde gira solo una delle parabole discendenti, tutte molto simili tra di loro, di tante ragazze dell’area orientale del continente europeo.
Desta confusione, però, lo stile filmico prescelto dall’autrice portoghese: se la materia affrontata è, come si diceva, tematica sociale scottante, il modo in cui l’apocalisse personale della ragazza è affrontato sembra mirare piuttosto al trascendente che non a restituire la cruda materialità delle situazioni in cui la protagonista piomba, come in un incubo.
Più che sul corpo nudo della giovane allora, la Villaverde preferisce focalizzarsi con la sua macchina da presa sul viso e in particolare sui grandi occhi, sempre più orribilmente vacui, della sua protagonista.
Come in alcuni bellissimi film di Amos Gitai (impossibile non pensare qui al suo Terra Promessa), ci troviamo in un road-movie dei sentimenti: la discesa agli inferi della ragazza corrisponde alla sua progressiva calata nei vari paesi d’Europa, che si dimostrano tutti, senza eccezione di sorta, ostili e chiusi nei confronti dello straniero.
In particolare è la diversità linguistica a finire per trasformarsi in una vera e propria barriera insormontabile nell’accostarsi all’altro. La Villaverde si muove tra i vari paesi e momenti del film con una sensibilità del tutto personale e difficilmente classificabile, rifuggendo da molti stereotipi.
Affascinante, ma forse eccessivamente lunga, una pellicola di certo non per tutti i gusti.
Da segnalare, nel frammento italiano, la bravura della nostra Iaia Forte, eccezionale nel piccolissimo ruolo della prostituta che canta e balla Bambola.
Regia: Teresa Villaverde; soggetto e sceneggiatura: Teresa Villaverde; fotografia: João Ribeiro; montaggio: Andrée Davanture; musiche: Murielle Damain, Vasco Pimentel; scenografia: Zé Branco; interpreti: Ana Moreira, Vitor Rakov, Robinson Stévenin, Iaia Forte; origine: Portogallo/Francia/Italia 2006; durata: 2h06’