Ubu Fuori Porta - Kafka (Peste: 1918)
Marino, Museo Civico "Umberto Mastroianni" - Ipotesi kafkiane. Ipotesi di una tranche de vie di inizio secolo figlia della Mitteleuropa più sfrenata e geniale, oppressiva e assurda. Ipotesi di un Gregor Samsa o di un Joseph K. dai corpi tesi ed essenziali. Ipotesi di Franz Kafka ed Egon Schiele.
Sotto l’interessante egida assunta dalla Compagnia LABit –l’ipotesi, come dichiarato nel suo manifesto programmatico redatto dal regista Gabriele Linari- si sviluppa questo Kafka (Peste: 1918), secondo spettacolo della serata inaugurale della rassegna Ubu Fuori Porta. La compagnia romana ritorna sulle dolorose orme dello scrittore praghese dopo Lettera al padre (2004), e ampliando lo studio presentato nel 2006 che ancora recava nei titoli un’impressionante sfilza di figli irrequieti del fu Impero Austro-Ungarico –Musil, Schnitzler, Freud, Klimt, Schiele. Ben lungi dall’essere un mero elenco di illustre personalità chiamate a vegliare sullo spettacolo, la lista di nomi presenti nel primo nucleo di quello che poi sarebbe divenuto questo Kafka (Peste:1918) cercava di ri-creare, attraverso l’evocazione emozionale e non di tali numi, l’irripetibile spicchio di mondo che era la Mitteleuropa di quegli anni –di cui loro erano gli indiscussi Grandi Architetti.
Lo scarto che a prima vista sembrerebbe segnare il lavoro presentato a Ubu Fuori Porta rispetto a quello di due anni fa è solo apparente: in realtà, adottando come totem-guida attraverso quell’epoca controversa il grande scrittore praghese, LABit sembra voler puntare arditamente la prua verso il centro del gorgo, affrontando di petto la Grande Opera –quello spicchio di mondo sopra citato- che in quegli anni si andava forgiando –e se pensiamo che al centro dello scorso studio stava Schiele, oggi ancora presente in questo lavoro, il trat d’union d’intenti ed ispirazione è abbastanza delineato nel suo difficile, e poderoso, percorso.
Quello che Linari ci mostra è un gabinetto di oggetti strani popolato da situazioni, personaggi-figure, ambienti, atmosfere, prelevati con il massimo rigore filologico dal corpus letterario dell’autore ceco –altro grande dato kafkiano: nato sotto lo stemma imperiale asburgico, Kafka divenne e morì cecoslovacco-, e ri-plasmati in numerosi quadri dal forte impatto estetico-emotivo. Da Il Processo ai Diari, passando per i Racconti, la chirurgica estrazione dall’absurde kafkiano operata da LABit si riversa sul piccolo spazio adibito a palcoscenico con buona fluidità e grande valenza evocativa –Joseph K. che instaura l’interrogatorio iniziale del Processo in un vuoto presbiterio è davvero affascinante.
Ed Egon Schiele è anche esso presente, con un’attenta cura ai corpi dei tre attori-performer presenti in scena, ora accartocciati su loro stessi, ora distesi l’uno accanto all’altro, ora tesi e ferini, in un’evidente richiamo alle posture, alle ieratiche figure dell’artista viennese.
I tre attori –Raffaella Cavallaro, Andrea Vaccarella e Guido Governale- popolano con grande intensità i quadri delineati da Linari, quadri le cui cornici, e confini e bordi, divengono di volta in volta le belle luci o le intense musiche dal sapore misticheggiante.
I pochissimi elementi scenici assurgono a cardini dell’azione attraverso una loro continua ri-modulazione: diviene la tomba tavolo, e il tavolo antro, e l’antro scrittorio; diviene il lenzuolo sudario, e il sudario tovaglia...
Ma la catastrofe annunciata nel titolo –il 1918 è l’anno in cui la febbre spagnola miete innumerevoli vite in tutto il mondo, tra cui quella di Schiele; e nello stesso anno si dissolve la facciata della Grande Opera, cioè il mastodontico Impero Austro-Ungarico- non trova posto sulla scena. Come degli spaventosi dolori del Kafka morente, come della voracità sessuale di Schiele, non vi è traccia. Gli estratti compiuti da Linari si sono svolti nella più completa asetticità, quasi sfiorando un languido manierismo che arriva a divenire incalzante nel susseguirsi dei numerosi quadri. La buona ipotesi iniziale sembra perdersi in tableaux vivants la cui forza, e follia e impeto, vengono accantonati a discapito di un lento fluire che pian piano si spegne in un anti-climax votato all’omaggio, alla contemplazione, della Grande Opera innalzata dai due maestri.
Forse, affrontare fino in fondo il gorgo umano in cui hanno navigato Kafka e Schiele avrebbe, pericolosamente, reso di più.
Da: Kafka Diretto da: Gabriele Linari Con: Andrea Vaccarella, Guido Governale, Raffaella Cavallaro Web Info: Ubu Fuori Porta, Compagnia LABit