Valhalla Rising - Venezia 66 - Fuori Concorso

Gli estimatori della violenza patinata e a volte un po’ posticcia made in Hollywood, degli scontri ripresi da mille angolazioni e dal ritmo frenetico ed esasperato, non potranno che restare delusi da Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn. Il regista, diventato un cult per pellicole come Pusher o il recente Bronson (mai arrivato in Italia, così come, del resto, è assai difficile prevedere per questa ultima fatica una uscita nelle nostre sale) non smentisce la sua passata filmografia e approccia una storia epica e mitologica con uno stile del tutto realista.
La narrazione è rarefatta, rallentata quanto più possibile, le parole restano cimeli preziosi in poco più di novanta minuti di proiezione in cui a parlare sono soprattutto le lunghe sequenze prive di dialogo che ritraggono paesaggi oscuri, virati nei colori e nelle atmosfere. Tutto nel film di Winding Refn pare possedere doppi significati. Si è così costretti, più che invitati, a ricercare le chiavi metaforiche in grado di decifrare svolte narrative e simbologie nascoste.
One Eye , guerriero muto dalla forza sovrumana, per anni tenuto prigioniero e costretto a combattere dal comandante Barde, riesce a scappare ed a uccidere i suoi carcerieri. Si imbarca in un vascello vichingo capitanato da un capitano cristiano in cerca di una nuova Gerusalemme da fondare. La nave viene però risucchiata in una nebbia demoniaca portando i personaggi a scontrarsi in un territorio oscuro contro forze nascoste. Qui One Eye andrà incontro al suo destino.
Quello che più affascina del film, la cui visione è corretto definire ostica, è la scelta del regista di sospendere, come già ricordato prima, la narrazione per lunghi tratti. Le innumerevoli sequenze, costruite su campi lunghi e lunghissimi alternati a primi piani del volto dell’eroe, in cui nulla c’è da ascoltare se non il senso proprio del territorio mostrato, la desolazione di un mondo quasi non più popolato, rappresentazione chiara e significativa di una apocalisse già sopraggiunta, si scontrano con le immagini dei combattimenti (non moltissimi) in cui nulla ci viene risparmiato. I crani che si sbriciolano sotto pesanti colpi di massi o di asce, così come i colli che si spezzano, poco hanno a che fare con l’immaginazione. Winding Refn sfrutta pienamente il mezzo tecnico per accostarsi quanto più possibile alla realtà, cercando di evocare caratteri e particolarità tipiche del cinema di cui è estimatore sin da bambino; quello degli Spaghetti Western e delle saghe di Samurai.
La simbiosi tra arte e violenza che il regista ha sempre dichiarato essere fonte primaria della sua ispirazione (Vedo l’arte come un atto di violenza. L’unica differenza tra le due è che nella vita reale la violenza distrugge ciò che l’arte ispira) è il punto di origine delle sue pellicole e Valhalla Rising non comporta eccezioni. Ne abbiamo definito ostica la visione. Scelta dettata dalla difficoltà provata nello scardinare il tempo sospeso del racconto. Eppure, destinando al film un pensiero più ragionato, si rimane affascinati dalla costruzione compiuta da Winding Refn, dalla sua manifesta volontà di entrare nelle menti dei suoi personaggi secondo una filologica evoluzione dei caratteri.
L’ostinata scelta di girare ogni sua opera seguendo il cronologico accadimento degli eventi stabilito in fase di sceneggiatura suggerisce un profondo senso di verità a ciò che va a riempire lo schermo. Pochi spettatori ma applausi convinti tra la stampa per un’opera che, se mai arriverà in Italia, speriamo di non vedere falcidiata dalla mannaia della censura.
Valhalla Rising; Regia: Nicolas Winding Refn; sceneggiatura: Nicolas Winding Refn, Roy Jacobsen; fotografia: Morten Søborg; montaggio: Mat Newman; scenografia: Laurel Wear; costumi: Gill Horn; Musica: Peter Peter, Peter Kyed; interpreti: Mads Mikkelsen, Alexander Morton, Stewart Porter, Maarten Stevenson, Matthew Zajac, Andrew Flanagan, Gary Lewis; produzione: Bo Ehrhardt, Jonny Andersen, Henrik Danstrup; distribuzione : Wild Bunch; origine: Danimarca, UK 2009; durata: 90’
