Venezia 64 - 24 mesures - Settimana della Critica
E’ la notte di Natale e quattro personaggi, che sembrano non avere nulla in comune l’uno con l’altro, si incontrano. Le rispettive esistenze vengono a contatto solo per pochi secondi, ma tra di essi si crea un legame che li porta a condividere una piccola parte delle loro esistenze.
Con un incipit di grande forza, grazie ad una sequenza brusca e violenta, il film si annuncia efficace ed interessante. Una ragazza tossicodipendente, che cerca costantemente di avere un contatto con il figlio che le è stato portato via dai servizi sociali, fa da "collante" tra le vite dei vari personaggi e ci guida attraverso la vicenda. Il primo incontro della giovane avviene con Didier, interpretato magistralmente da Benoît Magimel, che veste i panni di un uomo al limite della schizofrenia; la sua splendida interpretazione, scorrevole e carismatica, riesce pienamente ad affascinare il pubblico. Il momento che il regista dedica alla storia di questo personaggio è sicuramente il più interessante del film, sia per la maestria dell’attore, sia per il contenuto della sceneggiatura. Dopo questo inizio pieno di intensità, però, si assiste purtroppo al lento declino dell’opera.
Il regista, a suo stesso dire, tenta di far rapportare il pubblico con il concetto di "verticalità", intendendo con questo termine il rapporto che ogni individuo detiene con i propri genitori o con i propri figli. Purtroppo, allo spettatore raramente è dato di riuscire a calarsi e ad immedesimarsi nelle storie personali di questi sfortunati personaggi. Tale forte senso di disagio si avverte in modo prorompente durante il dialogo tra Marie (Bérangère Allaux) e sua madre (Marisa Berenson). Marie è una giovane ragazza molto mascolina, che sembra avere una difficoltà ad accettare il suo orientamento sessuale. La madre è invece una donna egoista che non riesce, e forse non vuole, avere un dialogo con la figlia. Nell’unico momento in cui le due donne si confrontano, la giovane Marie tenta di spiegare alla madre quanto il suo atteggiamento finirà per distruggerla facendola morire colma di rimpianti. Il monologo che ne scaturisce vorrebbe essere intenso e commovente, ma, dopo qualche istante, trova la sua "abortiva" conclusione e allo spettatore non rimane che rimanere disorientato e spiazzato di fronte a questo tentativo di creare un momento di grande intensità poetica.
L’ultima delle storie che va a concatenarsi alle precedenti è la vicenda di Chris (Sami Bouajila), un giovane batterista blues al suo esordio in pubblico. Il debutto del giovane si rivela catastrofico e, in preda ad una crisi isterica, egli si rifugia in una discoteca dove incontra le due protagoniste. Jalil Lespert, filma i tre personaggi in uno scontato triangolo erotico, tentando di costruire un piano sequenza (tecnicamente non riuscito) nel quale gli attori sono in evidente difficoltà. I tre, difatti, non fanno che ridere in modo sguaiato e indisponente, risultando in definitiva delle "macchiette" che poco hanno a che vedere con la realtà.
(24 Mesures); Regia: Jalil Lespert; sceneggiatura: Jalil Lespert, Yann Apperry; fotografia: Josée Deshaies, Elin Kirschfink; montaggio: Laurence Briaud; musica: A Silver Mont Zion; interpreti: Lubna Azabal (Helly), Benoît Magimel (Didier), Sami Bouajila (Chris), Berangere Allaux (Marie); produzione: WY PRODUCTIONS, MK2 PRODUCTIONS, EQUINOXE PRODUCTIONS; origine: Canada, Francia; durata: 82’