Venezia 64 - Nightwatching - Concorso
Ancora una volta si torna a parlare della vita di un pittore, della sua arte, del suo mondo. Ancora una volta il cinema diviene veicolo di spiegazione della complessità dell’opera di un artista, in questo caso Rembrandt. Il regista-pittore Peter Greenaway, dopo il progetto multimediale de Le valigie di Tulse Luper, torna con un’opera importante che non è solo l’affresco di un’epoca, ma anche uno dei punti più alti della personale estetica del regista britannico.
Frammenti di vita di Rembrandt vengono raccontati in maniera apparentemente "anticinematografica". L’impianto e l’illuminazione prettamente teatrali, non solo creano un ricercato effetto pittorico debitore dell’ispirazione del pittore olandese, ma fanno sì che Nightwatching divenga puro cinema, in cui la spettacolarità viene sostituita dalla ricerca della verità artistica attraverso la poesia della quotidianità. Stralci di quotidianità del pittore vengono rievocati ora nel tentativo di percepire il motivo della sua ispirazione artistica, ora in maniera razionale e a volte addirittura didascalica, specialmente nei momenti in cui il pittore, interpretato da un Martin Freeman particolarmente ispirato, racconta direttamente in camera, a mo’ di intervista, determinati momenti della sua esistenza. I tre amori del pittore rispecchiano tre fasi cruciali della sua vita. Il matrimonio con Saskia diviene specchio della serenità di un Rembrandt che dirige come un regista le comparse di quadri che allo spettatore non sarà (quasi) mai permesso di ammirare: scelta che conferma l’esigenza di non mostrare l’opera d’arte immobile in un passato sepolto, preferendo piuttosto la sua resa viva e dinamica. La sensuale storia d’amore con la balia del figlio Titus, Geertje Dircx, mette a nudo la profonda crisi artistica del pittore olandese: il sesso è il veicolo di sfogo alternativo all’Arte, giunta ad un punto morto dopo lo struggente ritratto della moglie Saskia, dipinto mentre la donna stava morendo, che eleva la pittura a strumento mediante il quale proiettare la vita all’infinito. L’ultima storia d’amore presa in considerazione è quella con Hendrickje Stoffels, giovane donna della quale l’artista era sempre stato innamorato e che lo riporta alla vita, riaprendo metaforicamente l’occhio di un artista che non riusciva più non solo a guardare, ma anche a Vedere.
Greenaway rielabora alcune fasi della vita del pittore olandese, mettendo in scena piccole vicende di tutti i giorni, tra amori e congiure, nell’usuale costruzione simmetrico-architettonica dell’immagine. Le luci, i cui tagli esaltano i volti dei personaggi e gli interni rievocano la pittura di Rembrandt e i colori, impastati e stesi sulla tela-immagine cinematografica, ripercorrono non solo le fasi di vita, ma anche la stessa tecnica di pittura. Il filo conduttore del film è l’enigmatico quadro che rappresenta la cospirazione organizzata da aristocratici, committenti dell’opera. Come ne I misteri del giardino di Compton House, l’arte diviene veicolo privilegiato per svelare una Verità celata dall’ipocrisia della società dell’epoca. Rimane l’impianto teatrale e un forte senso critico, ma nel caso di Nightwatching i classici dialoghi grotteschi, caratteristica primaria dell’opera del cineasta inglese, vengono sostituiti da una sceneggiatura mai eccessiva e dai toni quasi sempre sommessi. La scelta si rivela azzeccata, poichè la squisita normalità della vita di un serafico Rembrandt viene alternata intelligentemente alle fasi critiche della carriera dell’artista, creando un effetto dinamico e mai piatto.
Nightwatching è insieme un quadro, uno spettacolo e un racconto. La macchina da presa diviene il pennello per dipingere una tela sempre in movimento e si mostra per ciò che è: il vero occhio di un artista, tramite il quale sarebbe impossibile filtrare la realtà, sviscerarla, ricostruirla sotto la nuova luce della Verità. L’occhio di Rembrandt sapeva vedere oltre la superficie. Quando l’artista viene accecato in modo fisico e metaforico, rimane il suo occhio interiore a permettergli di continuare a "vedere" le tenebre, spezzate solo dalle luci di quella ronda notturna che dovrebbe mettere fine alla sua Arte. Questo non succederà, o per lo meno, preferiamo credere che l’Arte sia lo specchio di quello che siamo e che dietro un’opera d’arte ci sia la risposta alle domande a cui non si riesce a fornire una risposta. Greenaway si traveste da Rembrandt e dipinge la vita, la morte, l’Arte. Ci auguriamo che, almeno lui, continuerà a vedere ancora per molto.
(Nightwatching) Regia e sceneggiatura: Peter Greenaway; fotografia: Reinier van brummelen Balmain; montaggio: Elmer leupen Shore; interpreti: Martin Freeman (Rembrandt), Emily Holmes (Hendrickje), Eva Birthistle (Saskia), Jodhi May (Geertje); origine: Canada/Francia/Germania/Polonia/Olanda/GB; durata: 134’