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VENEZIA 64 - SUKIYAKI WESTERN DJANGO - CONCORSO

Pubblicato il 6 settembre 2007 da Matteo Botrugno


VENEZIA 64 - SUKIYAKI WESTERN DJANGO - CONCORSO

Si può affermare senza dubbio che questo è l’anno del western, che da una parte viene recuperato con le proiezioni delle opere italiane più significative degli anni ‘70 e, dall’altra, viene ricordato con nostalgia tramite lavori, come Searchers 2.0, in cui si avverte ancora la forza di un genere cinematografico in via di estinzione. Cosa succederebbe nel momento in cui Miike, uno dei registi più eclettici e produttivi del pianeta, realizzasse un western?
Il risultato è Sukiyaki western Django, delirante racconto della lotta fra le due gang di una cittadina di un Nevada nipponico con tanto di saloon-pagode. Miike si è cimentato con qualsiasi genere cinematografico e i suoi lavori, non tutti riusciti ovviamente, spaziano fra i temi più disparati, dalla violenza di Ichi the killer alla poesia di The bird people of China, dalla scioccante morbosità di Visitor Q alla giocosità di Yokai daisenso. Il regista giapponese affronta ogni genere cinematografico stravolgendolo e contaminandolo con l’immancabile ironia che caratterizza i suoi lavori. Tale impronta d’autore è ravvisabile anche in Sukiyaki western Django, film in cui il genere western viene disintegrato e subito ricostruito alla maniera di Miike: pistoleri con abiti sgargianti con l’atteggiamento da yakuza, incursioni gore e, non meno importante, un incipit esilarante che vede la presenza di Quentin Tarantino in una parte breve ma incisiva.
La vicenda narrata nel film è un pretesto per una messinscena spettacolare e curata in ogni dettaglio. Fotografia attenta ad esaltare i colori del deserto, della rosa bianco-rossa (leitmotiv della storia) e della singolare nevicata prima del duello finale, combattuto spada contro colt; trovate geniali nelle scene d’azione, in cui vengono sperimentate tecniche ibride di combattimento e con qualsiasi tipo di arma; grande ritmo sia per quanto riguarda la storia, arricchita da elementi tarantiniani e da un buon uso del flashback, arditi movimenti di macchina e solita aria di follia che si respira nei film di Miike: ogni elemento è una pepita d’oro (tanto per rimanere in tema di western) a patto che non si guardi il film con gli occhi del purista non disposto a veder trasformato, preso in giro e ricordato con nostalgia, un genere che ha dato tanto al cinema come il western.
Possibile ravvisare in Miike una vicinanza non solo umana, ma anche artistica con Tarantino. Possibile, ma restrittivo. Il regista giapponese possiede uno stile elegante e personale che riesce ad infondere ad opere anche molto diverse fra loro, oltre ad una raffinatezza tecnica non indifferente. Si può dire lo stesso anche di Tarantino?


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