Venezia 64 - The sun also rises - Concorso

Una donna sogna un paio di scarpe su binari invasi da fiori colorati. Si sveglia e per la prima volta in vita sua sente il bisogno di comprare delle scarpe, in seguito tramutatesi in un uccello variopinto, che spiccherà il volo verso il sole. Un incipit d’impatto per un lavoro che fa del suo stesso essere confusionario e caotico il proprio punto di forza.
In Taiyang zhaochang shengqui (The sun also rises) si avverte l’incessante necessità di inseguire l’emozione, tramite intrecci di storie che solo al termine si scioglieranno in un finale assolutamente delirante. Le vicende di una donna folle e di suo figlio, quelle di due coniugi e di un fornaio, compongono i blocchi principali di un film che, passo dopo passo, percorre la strada tortuosa di una commistione fra impercettibile ironia e struggente poesia dell’esistenza: il tutto in un surreale entroterra cinese all’epoca di Mao.
E’ impressionante la capacità di cambiare atmosfere in modo repentino, senza provocare fastidio. Jiang Wen, con l’aiuto di una fotografia eccezionale, costruisce una Cina grottesca, carica di colori intensi ed illuminata da un sole sempre sfolgorante. I personaggi riescono ad integrarsi perfettamente nel ritmo stesso degli elementi della natura, i quali a loro volta, alternandosi, divengono specchio delle stagioni della vita, del passato e di un’esistenza in bilico fra realtà e sogno. Il regista sceglie delle soluzioni stilistiche brillanti e riesce a fondere perizia tecnica ed abilità narrativa. Il film presenta dei caratteri barocchi ma non risulta mai kitsch. Le melodie dei ricordi lontani riecheggiano in lontananza, in un’orgia di suoni della natura e di musiche di ogni tipo (si passa da canzoni popolari cinesi e russe ad una soundtrack tipicamente occidentale), che percorrono i sentieri della vita. Saranno proprio le due strade possibili, quella che finisce e quella che non ha termine, a spiegare le ragioni di un lavoro costruito su atmosfere impalpabili e di ritmi ora cadenzati, ora forsennati.
Il cineasta cinese non pretende di realizzare una pellicola che abbia una vera e propria chiave di lettura. Il suo è un lavoro che, per quanto visionario, risulta carico di una passionalità tutt’altro che cervellotica. Gli eventi, divertenti o tragici, si susseguono nella commedia della vita in un’equilibrata alternanza di sensazioni e di sconcertante vitalità. Taiyang zhaochang shengqui è un film poco convenzionale che, probabilmente, nel mescolare colori alla Kusturica a storie ad incastro, farà storcere il naso a qualcuno. Quella di Wen è però un’opera che suscita riso e pianto, senza un effettivo perché. Cercarlo ossessivamente distruggerebbe il valore di un’opera spesso enigmatica, ma che non può non risultare elegante e raffinata.
(Tai yang zhao chang shanghai); Regia: Jiang Weng; sceneggiatura: Jiang Weng, Ping Shu; fotografia: Mark Ping Bing Lee, Fei Zhao; musica: Joe Hisaishi; interpreti: Anthony Wong Chau-sang, Joan Chen, Jaycee Chan, Zhou Yun, Wen Jiang, Kong Wei; produzione: Beijng Bu Yi Le Hu Film company, Emperor Motion Pictures, Huayi Brothers Advertising, Lotus Entertainment; origine: Cina/Hong Kong, 2007; durata: 116’
