X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Venezia 64 - With the Girl of Black Soil - Orizzonti

Pubblicato il 1 settembre 2007 da Giampiero Francesca


Venezia 64 - With the Girl of Black Soil - Orizzonti

Sospendere il tempo, bloccare lo sguardo e l’animo dello spettatore trasportandolo in un racconto al di fuori di ogni dimensione. Registi come Tsai Ming-liang, Stanley Kwan, Kim Ki-duk avevano abituato il pubblico veneziano a questa estatica rarefazione. With the girl of black soil di Jeon Soo-il ci ha riportati sulla terra, mostrando la differenza fra sospensione e lentezza, rarefazione e inerzia.

Il suono monotono, appena percepibile del proiettore di sala riecheggia sulle immagini di With the girl of black soil come il rumore delle lancette su di un orologio. Un orologio che descrive un tempo infinito, che trasmette un soporifero senso di stasi. Le miniere di carbone, le case diroccate, le demolizioni, i gesti del piccolo Tong Gu, handicappato mentale, spariscono in un’atmosfera di immobilità, di assoluta, totale inerzia. Le gocce, lente, scorrono fra il carbone e le cucine richiamano il rintocco di questo invisibile pendolo. Un suono sordo, portatore, come lacrime di veleno per topi, di morte. Finanche i sentimenti, le passioni umane sembrano annichilite da questo vuoto. Il dolore, la compassione, la sofferenza, fisica ed esistenziale, dei personaggi in scena emerge da questa nebbia, lasciando solo una flebile traccia, un segno nel nulla.

Un sottile filo rosso sembra legare molti fra i titoli presenti nelle varie sezioni della 64° edizione del festival di Venezia; l’assenza di quella che, brutalmente, chiameremmo trama. Sembra che, d’improvviso, tra postmoderno e sperimentazioni, nessuno senta più il bisogno di raccontare qualcosa. Come se il senso stesso del narrare si esaurisse completamente nel gesto, nella forma della dieghesis. Ore di pellicola scorrono senza un filo logico, prive di conflitti, di eventi, esondanti solo della necessità di mostrare, di costruire cinema. Un segnale che si ripete ed amplifica da anni e che meriterebbe maggiore attenzione. Quali sono le motivazioni che spingono autori provenienti da ogni angolo del globo a rifugiarsi nello stile, nella forma? Che ne è dell’etica del raccontare che ha reso grande tanta parte della storia del cinema? E’ fuor di dubbio che eventi come il festival di Venezia siano il palcoscenico ideale per i nuovi (e i vecchi) autori. Autori giustamente impegnati nella sperimentazione del linguaggio e delle meccaniche del cinema. Tornare però a raccontare, a sentire la necessità, il bisogno di narrare sarebbe comunque un passo importante, forse necessario. Per emozionare, coinvolgere, trascinare. Per evitare tonfi nel vuoto.



Giampiero Francesca


CAST & CREDITS

(With the girl of black soil); Regia: Jeon Soo-il; sceneggiatura: Jeon Soo-il; interpreti: Yu Yun-Mi, Jo Yung-Jin, Hyun-Woo Park; produzione: Dongnyuk Film, Chinguitty Films; origine: Corea del Sud/Francia 2007; durata: 90’


Enregistrer au format PDF