XII MEDFILM FESTIVAL - CONCORSO - DOUCHES FROIDES

Il passaggio all’età adulta di Michael è il riflesso di una società in piena crisi, che ha perso completamente i suoi orizzonti di senso e sembra sprofondare sempre più in un vuoto esistenziale drammatico e deprimente. Davvero a stento proviamo pietà per i protagonisti di questo adolescenziale ménage à trois, che appaiono sgradevoli pur essendo vittime e animaleschi pur essendo umani. L’adolescenza, che oggi ha prolungato i suoi raggi d’azione molto più in là nel tempo, stabilendosi, talvolta, cronicamente nell’anima di un individuo è sempre stata l’età più complessa e fragile per la vita di ognuno, ma quella dei nostri giorni sprigiona un malessere e un’ infelicità di fondo che hanno radici lontane e condannano la nuova gioventù a dover pagare colpe non interamente ad essa attribuibili. L’ossessione di Michael per il peso da raggiungere e conservare a fini sportivi - ma è facile leggere tra le righe un’attenzione maniacale per cavilli estetici che fanno parte di un’intera generazione schiava del culto dell’immagine -, le orge messe in atto dai tre protagonisti, le fobie sul risparmio della madre del ragazzo ed i vizi del padre, sono sintomi di un disagio che non sbaglieremmo a definire universale, in un’epoca che ha fatto del benessere l’unico movente in grado di stimolare la vita delle persone e dell’edonismo una droga quotidiana in cui rifugiarsi. L’amicizia assume le fattezze di un implicito patto fondato solo ed esclusivamente sull’esteriorità e sul pragmatismo più comodo: così nasce il legame tra Clement e Michael, che culmina in un triangolo “amoroso” che non ha nulla a che vedere con la poesia e la delicatezza di Jules e Jim di Truffaut o con la riottosità necessaria di The Dreamers-i sognatori di Bertolucci, perché i contesti sono inequivocabilmente differenti e la promiscuità automatica dei ragazzi di Cordier è priva di qualsiasi altro significato aggiunto, un gesto che si consuma su di sé, tragicamente meccanico. Il problema dell’identità è dunque al centro dell’attenzione del regista, ma il film sia sotto il profilo narrativo che sul piano della messa in scena evidenzia palesi carenze ideative, che destano maliziosi sospetti circa una presunta volontà di non rischiare troppo e di rimanere ancorati nei binari di uno scolastico schematismo che investe sia la regia che il soggetto. La sceneggiatura, firmata dallo stesso Cordier, incappa troppe volte in situazioni drammaturgicamente prive di rilievo e, di conseguenza, di un qualche interesse; i tempi morti della storia a nulla sembrano funzionali, anzi sottraggono linfa vitale al film e contribuiscono al suo appiattimento. Anche il livello interpretativo è assai deludente: solo Michael e Vanessa possiedono volti adeguati alle parti, e dall’adolescenza e dalla magrezza dei loro corpi traspare una febbrile insicurezza mentre i genitori del ragazzo sono invece, a tratti, pateticamente teatrali. Douches Froides sembra la dimostrazione, tanto banale quanto necessaria, che non è sufficiente un interesse, magari anche appassionato, per uno o più temi di fondo, per fare un buon film perché il Cinema, fortunatamente, è ben altro ed è giusto chiedergli qualcosa in più.
(Douches froides) Regia soggetto e sceneggiatura: Antony Cordier; fotografia: Nicolas Gaurin; montaggio
: Emmanuelle Castro; musiche: Nicholas Lemercier; suono: Pierre Tucat; interpreti: Johan Libéreau, Salomé Stevenin, Florence Thomassin; produzione: Why Not Productions; distribuzione: Wild Bunch; origine: Francia; durata: 102’
