XII MEDFILMFESTIVAL - IBERIA

La mia mente è così lontana, quando ballo... [Greta Garbo in Mata Hari]
Cento anni e non li dimostra. Stiamo parlando di Iberia, la suite composta nel 1906 da Isaac Albéniz e considerata il capolavoro assoluto del grande compositore spagnolo. Cento anni portati con leggiadra freschezza, grazie all’adattamento firmato da Carlos Saura e designato come film di apertura della dodicesima edizione romana del Medfilmfestival. L’opera del regista spagnolo incanta e seduce, con la messa in scena di una selezione di oltre venti episodi della suite, proponendo una nuova interpretazione delle musiche e amalgamando con mestiere e inventiva balli classici e contemporanei, flamenco e canti tradizionali. Giunto all’ottava esperienza nel genere del film musicale, Saura riesce dove finora non era riuscito a brillare. Su Iberia si erge fortemente l’ombra degli illustri precedenti di Flamenco (1995) e in particolare di Tango (1998), frutto della collaborazione di Vittorio Storaro, ma a differenza dei due film citati, meravigliosi nella loro resa pittorica quanto imprigionati da simbolismi e troppo celebrali meccanismi metaforici, qui è l’emozione che si staglia prepotentemente. Debitore senza imbarazzo della lezione del maestro della cinematografia, Saura reinventa la suddivisione dello spazio, tra tendaggi amniotici e specchi che svelano le quinte del palcoscenico, tra pannelli divisori e finte lune che ricordano il sole dell’avvenire nel finale onirico di Dillinger è morto.
In novantasei minuti di esplosioni di colori e invenzioni scenografiche e di illuminazioni, Iberia vive e respira grazie alla sensualità di corpi, di sguardi, di tagli di luce, si nutre di sinuosi movimenti di macchina, morbidi e leggeri. Dolly e plongeè abbracciano ballerini e musicisti, seguono in lunghi piani sequenza le evoluzioni dei ballerini, i fruscii dei vestiti e i colpi dei tacchi, memori della assoluta irripetibilità del ballo del flamenco, una continua improvvisazione che è concentrato centrifugo di vitalità. Una musica che non imprigiona i protagonisti negli spazi di un aspro assolo di chitarra, ma ne riporta i ritmi, regalando tragiche silhouettes e vividi corpi magicamente fotografati ora fuori fuoco, ora nel dettaglio del primo piano. Episodi come Granada, El puerto, Torre Bermela, El Albiacìn risultano quadri in apparenza completamente diversi, sia nella narrazione interna che nella resa sceno-fotografica, ma condensano una morbida lezione di regia che trova il suo apice nel finale visionario e invasivo di Sevilla, con lo schermo della macchina da presa sopraffatto e oscurato dalle gocce di una pioggia salvifica e catartica. Sullo sfondo, due amanti solitari, sensuali e fuori dal tempo. Una piccola gioia per gli aficionados del ballo, una forte carica seduttiva per lo sguardo degli spettatori che hanno tributato a Iberia un applauso di dieci minuti, un film che non ha (ancora) trovato una distribuzione italiana.
[Novembre 2006]
(id.) Regia e sceneggiatura: Carlos Saura; soggetto: tratto dalla suite omonima di Isaac Albéniz; fotografia: José Luis Lòpez-Linares; montaggio: Julia Juaniz; musiche: Roque Banõs; ballerini: Sara Baras, Antonio Canales, Aìda Gòmez, Enrique Morente, Estrella Morente, Manolo Sanlùcar, José Antonio Ruiz; produzione: Morena Films; distribuzione internazionale: Wild Bunch; origine: Spagna, 2006; durata: 96’
