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XII MEDFILM FESTIVAL - GO WEST

Pubblicato il 20 novembre 2006 da Carlo Dutto


XII MEDFILM FESTIVAL - GO WEST

Solo i morti hanno visto la fine della guerra [Platone]

La guerra e le sue ferite, trasportate in una storia che ha sollevato numerose polemiche in terra balcanica, ma le accuse di faziosità filo-bosniaca, gli attacchi dalla comunità musulmana e le minacce di morte al regista non intaccano di certo un film di notevole interesse e forza filmica. Prodotto da Jeanne Moreau, che recita un insolito cammeo finale, Go west narra della storia d’amore tra lo studente serbo Milan e il giovane e imberbe violoncellista musulmano Kenan, un amore vivo e appassionato, vittima dei sotterfugi usati per nascondere una relazione pericolosa in un mondo conservatore dove l’omosessualità è più che un tabù, un disonore. Lo sfaldamento della federazione jugoslava è in atto e i due si dovranno rifugiare sulle montagne bosniache terra dei serbi, in casa del padre di Milan, per sfuggire all’assedio di Sarajevo. Qui Kenan vivrà travestito da donna all’insaputa della gente del villaggio e dello stesso padre di Milan (un ispirato e tragico Rade Serbedzija) un personaggio che vive il forte conflitto interiore del non riuscire ad accettare una guerra fratricida e sanguinosa in un mondo costellato da forze cieche e sadiche.

Si respira l’odio della guerra civile, nelle parole del pope mutilato che si scaglia contro i nemici e recita sermoni che inneggiano alla guerra, nella sottile violenza insita nelle manifestazioni di giubilo e di festa, nella proliferazione maniacale e feticista dell’arma brandita e portata in trofeo, nuovo arto dell’uomo, mentre nello stesso sperduto villaggio diventa un problema anche reperire l’acqua e si ricorre a pompe e pozzi che ricordano il Terzo Mondo. Su tutto, il sogno della libertà dell’Olanda della liberazione sessuale, l’Olanda della pace e della convivenza, mito epitome di una rinascita impossibile. Troppi i segni indelebili, troppi i morti e le speranze vane, incarnate nella tragica scena finale con il suicidio del padre di Milan, unica via rimasta all’uscita del tunnel dell’odio. Una terra che vede proliferare la magia nera, mentre a poche decine di chilometri contadini e poveracci si massacrano su colline prospicienti e tornano cadaveri ammassati su vecchi carri. Il timido e mastodontico regista bosniaco, documentarista al suo debutto nel lungometraggio, già autore del corto pluripremiato Ten Minutes ha presentato Go West in anteprima italiana al Medfilm festival e ci confida d’aver imbracciato lui stesso il fucile e difeso Sarajevo durante i terribili mesi dell’assedio alla città, annichilita da fame, freddo e cecchini.

Un film duro e spietato, che trova momenti di riflessione e di sgomento assoluti accanto a scene di pugnace ironia balcanica, un film che scontenta i fautori del buono e del cattivo, che non getta responsabilità, ma registra gli effetti dell’odio e della guerra in una narrazione che parte dalla storia generale (la vivace città di Sarajevo, culla di cultura stuprata dall’assedio) per approdare alla storia degli uomini che hanno subito l’odio del loro stesso vicino di casa, in un continuo circolo vizioso senza innocenti, ma colmo di vittime. Kenan, rimasto solo, potrà raccontare la sua storia in un programma televisivo e suonare un violoncello che non esiste.

[Novembre 2006]

(Go west) Regia: Ahmed Imamovic; sceneggiatura: Ahmed Imamovic, Enver Puska; fotografia: Mustafa Mustafic; montaggio: Andrija Zafranovic, Mirsad Tabakovic; musiche: Enes Zlatar; interpreti: Mirjiana Karanoviç, Haris Burina, Rade Serbedzija, Mario Drmaã, Tarik Filipoviç, Jeanne Moreau, Milan Pavloviç; produzione: Production Company Comprex Sarajevo origine: Bosnia, Croazia, 2005; durata: 97’; sito web: Sito ufficiale del film


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